PALERMO- E’ polemica fra il ministro dell’Interno Matteo Salvini e i sindaci di alcune città. Oggetto della contesa è l’applicazione da parte dei comuni del decreto sicurezza. A guidare la fronda dei “ribelli” è il primo cittadino di Palermo, Leoluca Orlando. Con lui, quello di Firenze Dario Nardella, il napoletano Luigi De Magistris e l’ex pentastellato sindaco di Parma Federico Pizzarotti. Ma nella lista compaiono amministratori di tutto il paese, sia di centrosinistra, sia di centrodestra (vedi Silvana Romano, assessore a Gorizia con Forza Italia). Malumori per le nuove direttive del Viminale anche nella giunta grillina di Roma, con la voce critica dell’assessore al Welfare Laura Baldassarre. Ma cosa può succedere adesso? Quali le conseguenze per quei sindaci che si sono ribellati?
Il primo a parlare dei possibili rischi per gli amministratori dissenzienti è stato l’ex presidente della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli, intervistato dall’Adnkronos: “Se ci sono atti che la legge prevede per i Comuni il sindaco non può disapplicarla. Se la disapplica, e in ipotesi interviene il prefetto o un’altra autorità, sorge un contenzioso e allora potrebbe essere sollevata una questione di legittimità costituzionale. Al momento – ha ribadito il costituzionalista – è un atto politico“.
Cosa potrebbe accadere quindi a Orlando e gli altri? Secondo quanto riportato da alcuni giornali, qualora arrivasse la denuncia del prefetto, ai dissidenti potrebbe essere contestato il reato di abuso d’ufficio, aggravato dal fatto che i sindaci, in materia di stato civile, sono anche ufficiali di governo. I prefetti, inoltre, hanno la facoltà di annullare l’atto dell’ufficio comunale. Qualora poi la disobbedienza dei sindaci dovesse concretizzarsi, potrebbe aprirsi un contenzioso tra i comuni e lo Stato