CATANIA – Sant’Agata è arte. Sant’Agata è devozione popolare. Sat’Agata è Catania. Nella mostra inaugurata dalla Soprintendente ai Beni Culturali di Catania, Fulvia Caffo, al Museo Diocesano di Catania va in scena una prospettiva della Santa del tutto singolare che intende presentare due aspetti inediti della patrona etnea: Sant’Agata Penelope Cristiana e Catania al tempo di Agata. Una mostra coordinata e prodotta dalla Soprintendenza ai Beni Culturali di Catania che si inserisce nell’ambito delle celebrazioni agatine del 2016.
TEMPO è l’acronimo del museo di Canicattini Bagni che sta per “Tessuto Emigrante Medicina Popolare”. In questo museo viene raccontata una storia ai più sconosciuta, rivelata come una chicca di devozione in occasione dei festeggiamenti agatini di quest’anno, dalla vulcanica Maria Teresa di Blasi, Funzionario della sezione Etno Antropologica della Soprintendenza ai Beni Culturali di Catania.
“Secondo una tradizione nota nel siracusano – racconta la professoressa Di Blasi, introducendo la mostra – Agata non era una guerriera, una donna fiera e forte come la conosciamo noi a Catania piuttosto era una mite e timida tessitrice. Una ragazza silenziosa che stava tutta la giornata chiusa in casa a tessere. In base a questa legenda, documentata dal Pitrè, Agata per evitare di sposare un signorotto borioso a cui era stata promessa, di giorno filava una tela e di notte passava il tempo a scucirla. Avrebbe fatto questo ripetutamente, come la più nota greca Penelope, per prendere tempo ed evitare di convolare a nozze con quel giovinastro. Una notte però il fidanzato incuriosito da una luce accesa nella casa della ragazza si accorge dello stratagemma inventato dalla giovane e infuriatosi minaccia di ucciderla”.
A testimonianza di questa narrazione popolare, la Di Blasi è riuscita a portare a Catania la sezione che parla delle tessitrici del museo siracusano. “La sacralità di Sant’Agata – continua la prof.ssa Di Blasi – fa parte di una narrazione a tutti noi cara, e sono felice che l’idea di presentare Sant’Agata come tessitrice, umile e timorata da Dio sia stata accolta favorevolmente, oserei dire all’unanimità da tutti gli organizzatori di questa mostra”.
“Questa mostra persegue prevalentemente un duplice scopo: far vedere l’aspetto etno antropologico di Sant’Agata e quello archeologico di una Catania romana dei tempi – spiega la dott.ssa Grazia Spampinato, direttrice del museo Diocesano accogliendoci nella prima sala della mostra. Offrire una lettura approfondita e originale della narrazione sacra legata alla nostra Santa. Grazie alla collaborazione con la Soprintendenza ai Beni Culturali di Catania, quest’anno, in occasione dei festeggiamenti agatini, ci pregiamo di celebrare la nostra amata Agata ospitando una mostra ricca di contenuti inediti della devozione agatina”.
Nella parte archeologica del museo diocesano si dà contezza invece della sistemazione urbanistica della città in epoca romana al tempo del martirio di Agata. “Sostanzialmente è una mostra iconografica – afferma il dott. Andre Patanè, responsabile della sezione archeologica della Soprintendenza – questa area è composta da alcuni reperti pagani relativi al culto della Dea Cerere, liberamente accostati al culto della Diva Agata e una zona con immagini e testi che approfondiscono le conoscenze sui luoghi del martirio di Agata, ovvero Sant’Agata la Vetere, Sant’Agata alla Fornace e Sant’Agata al Carcere. Nel corso degli ultimi dieci anni la sovrintendenza, ha condotto delle ricerche che hanno portato alla luce diversi resti monumentali che vengono adesso graficamente rappresentati, anche grazie alla ricostruzione realizzata con l’Istituto per i Beni Archeologici e monumentali del CNR. Inoltre è importante sapere che sono state portate alla luce due necropoli, una di età medievale e una di età tardo romana dove abbiamo trovato ben 11 sepolture di epoca cristiana. Uno di questi scheletri pare potesse appartenere addirittura a un martire in quanto vi sono sepolte attorno altri corpi. Questo dato lascia spazio a delle ipotesi del tutto inedite, ecco perchè vale la pena fare un salto in questa mostra, perché ci si chiede di chi potesse appartenere questo scheletro. E c’è chi addirittura avanza ipotesi ardite come quelle che potesse appartenere appunto ad Agata, anche se noi sappiamo che le reliquie ufficiali sono quelle conservate nella Cattedrale di Catania”.
“Questa è una mostra che rappresenta un momento di orgoglio e di bilancio per la Soprintendenza di Catania – conclude Fulvia Caffo, sovrintendente ai Beni culturali di Catania. Oggi confermiamo un impegno costante verso la cultura, la conoscenza e la ricerca archeologica. Da almeno vent’anni realizziamo interventi di restauro e di valorizzazione non solo in edifici romani della città di Catania. Ricordo che da recente abbiamo ultimato il restauro e la valorizzazione delle terme della Rotonda. Ricordo, anche, la mostra sulla Bellezza Popolare che ha visto i temi che oggi qui rappresentiamo esposti presso la Chiesa San Francesco Borgia, dove la partecipazione dei privati si è rivelata determinante. Anche in questa mostra dobbiamo riconoscere l’importanza del ruolo del volontariato culturale e di quei cittadini che hanno a cuore la valorizzazione e la promozione del patrimonio culturale e ambientale della città. Il maestro orafo Ugo Longobardi, infatti in questa sede ci ha prestato dei gioielli che raccontano un’ulteriore spaccato della devozione agitata. E in tal senso, è davvero straordinario riconoscere come insieme a i nostri partner: il Comune, la Diocesi, il Fai, il Rotary, la Rinascente (a proposito di partner privati) è possibile innescare processi virtuosi per la città e per la valorizzazione del bene comune”