Scene da un matrimonio| (seconda puntata) - Live Sicilia

Scene da un matrimonio| (seconda puntata)

Perché si rimane nel matrimonio senza amore. Davvero è solo mancanza di coraggio?

Scrivendo, qualche settimana fa, sui “Giobbe del matrimonio”, nel commentare sotto vari profili alcuni dati salienti sulla fine delle unioni coniugali, si è toccato un tema che, con tutta evidenza, riguarda molte coppie. In buona sostanza, al di là di freddi numeri e di analisi sociologiche, la sfera emozionale è emersa travalicando le intenzioni.

In effetti, le statistiche ufficiali fotografano le situazioni consolidate, e quindi, nel nostro caso, i divorzi effettivi e le separazioni depositate in tribunale. Ma i problemi coniugali, per racchiudere in due parole miriadi di situazioni, sembrano coinvolgere molti più casi, se è vero che attualmente in Italia fallisce un matrimonio su quattro. E questa percentuale, via via che i condizionamenti sociali e religiosi diventano meno significativi, è destinata a crescere. I romantici da un lato e i superficiali dall’altro, senza costruire su basi solide, fanno sì che “il giorno più bello” divenga presto solo un ricordo da album. E talvolta nemmeno questo, perché, come capita di sentire, una rabbia infantile ed impotente si rivolge spesso persino alle fotografie, che, in preda ad irrefrenabili raptus, vengono strappate e distrutte, imponendo al coniuge, per lo meno, una damnatio in effigie. Infine, poiché si parlava della proverbiale pazienza di Giobbe, una chiosa è d’obbligo. E’ vero che molti matrimoni durano per sempre, finché morte non separi, ma quanti durano in modo felice?

Appare sempre chiaro, dal di fuori, che, quando un matrimonio fallisce, uno o entrambi i coniugi hanno infranto regole basilari, la prima delle quali è essere “buoni”, con se stessi e col partner. Dovremmo trattare l’altro come tratteremmo noi stessi. Suona troppo evangelico? Ebbene, bontà non significa sottomissione (come si è avuto modo di dire, molti rapporti “funzionano” perché un coniuge è soccombente), né azzerare la necessità di autosufficienza. La fase di innamoramento iniziale dovrebbe essere sostituita da un costante volersi bene. E, con buona pace dell’Antonello nazionale che cantava “amici mai”, al contrario, bisognerebbe diventare amici e complici. Quando l’amore è finito, se due persone “si amavano”, ma non si volevano bene, finisce tutto. Quando il matrimonio dura, è perché due persone si vogliono ancora bene.

Se non è così, è sempre una prova di resistenza dentro una gabbia di infelicità? Si mente a se stessi, fino a quando non interviene il tradimento a minare alle fondamenta il requisito di stabilità? E, infine, non è fin troppo facile accusare sempre “l’altro” di ogni nefandezza, minima o massima che sia? Forse sarebbe onesto e prudente parlare di un gigantesco concorso di colpa. Chi non si sente soddisfatto ha date per scontate una serie di cose che la realtà disattende puntualmente. E spesso si trova a confrontarsi con tratti della personalità dell’altro che appaiono mutati, invecchiati e soprattutto svogliati, nel senso che non sembra ci sia alcuna voglia di impegnarsi nella “costruzione di un amore”, per dirla, stavolta, con Fossati.

Senza “spezzare le vene delle mani” né “mescolare il sangue col sudore”, il legame profondo tra due persone che vivono insieme, quell’amicizia che i lettori dell’articolo sopra citato hanno segnalato come elemento importante per la sopravvivenza della coppia, non si può costruire. L’aforisma nietzschiano “Non l’assenza d’amore, ma l’assenza di amicizia fa il matrimonio infelice”, è stata approvato da molti e condivisa da chi ha sottolineato come “il matrimonio è una vicenda difficile e tuttavia nessuno ha soluzioni migliori. Se si diventa amici, come suggeriva qualcuno… alla fine la passione passa e l’amicizia resta”. I commenti susseguitisi sono stati vari e di estremo interesse. Da “Santa subito” che ringrazia per “aver parlato di me! E di un altro paio di milioni che resistono pensando ogni minuto… non ne posso più!”, a chi, in tempo di crisi sottolinea, e non è un dato da poco, che “per andarsene e divorziare non è che ci vuole coraggio ma ci vogliono soldi” (sul punto, si rinvia all’articolo di Mario Centorrino, L’economia del divorzio nella cattolicissima Sicilia, di prossima pubblicazione su “Live Sicilia”).

Poi, qualche analisi spiazzante. Qualcuno racconta che convive con la moglie da 42 anni ma “la detesto da 40 anni. Seriamente ho provato ad andarmene due volte. Lei minacciava il suicidio e nel frattempo l’altro amore finiva. Ha vinto”. Un coacervo di situazioni frequenti: mancanza di amore, tradimento, ricatto morale, acquiescenza. E più di una domanda: “Perché non mi ha cacciato via? Per una donna è così importante restare sposata? Anche senza nessun sentimento?”. Qualcuno replica. “Sono un uomo anche io e la domanda che dovremmo farci non è tanto perché non ci cacciano via ma perché non ce ne siamo andati”.

Ecco, un altro dei dati da segnalare è che sono stati più gli uomini ad interagire con le tematiche trattate: forse non hanno, come le donne, la sponda della amiche con le quali discutere di problemi coniugali. Ma le domande poste sono tante e profonde. Tra tutte, campeggia un interrogativo: perché si rimane nel matrimonio senza amore. Davvero è solo mancanza di coraggio?

Un lettore rivela di avere scoperto con tristezza di “essere stato usato per 26 anni da una persona che dopo 14 anni di matrimonio ed un figlio di 10 mi ha dato il benservito”, non prima però, di aver ottenuto “tutto quello cui ambiva: una casa di proprietà, un figlio e un lavoro”. Un altro, presago della prossima festività, che qui in Sicilia è particolarmente celebrata con grandi pranzi familiari, rivela: “Penso con terrore al giorno di ferragosto, con tutta la famiglia di lei, che non sopporto, che distorce persino il mio rapporto coi figli. Due anni fa avevo un’amante. I giorni di festa era tutto un mandarci messaggi. ora capisco che più che messaggi d’amore erano messaggi di sopravvivenza”. Emerge un nuovo punto: più che una evasione “fisica” il tradimento come salvagente, come illusione per sopravvivere allo squallore quotidiano. C’è chi, come Concetta, si sente usato, come “colf tuttofare”, ma prova a dare una risposta razionale all’interrogativo di cui si diceva: rimane col coniuge perché non sa stare da sola. Sentimento semplice, ma diffuso.

Al contrario, c’è chi preferisce restare solo ma recuperare la serenità, e analizza come il problema di fondo sia che la maggioranza delle coppie è convinta che una volta sposata la persona amata sei “a posto”: “Invece non è affatto vero. Intanto è appurato che le donne tendano spontaneamente a sottomettere i mariti, in maniera del tutto inconsapevole (infatti le donne che mi leggono, in questo momento, stanno pensando che non è così). L’uomo medio non si accorge di tutto questo fino a quando non è troppo tardi, perché in genere si tende a evitare litigi e scontri”. E ribadisce come “Il matrimonio, così come le relazioni di lunga durata, vanno mantenute vive, deve essere un continuo attenzionare le mosse e le reazioni dell’altro e stabilire una strategia d’azione”. Ma alla fine, dopo aver provato e riprovato, ha deciso di separarsi.

In questo mondo ipocrita e marcio, afferma un altro lettore, “sposarsi è un tragico errore: i divorzi, le famiglie sfasciate e pieni di problemi economici si sono triplicati… una cosa soltanto rimpiango davvero, e lo dico con il cuore, e cioè quei poveri bambini innocenti messi al mondo soltanto per gioco”.

Qualcuno dichiara che è “in difficoltà a mettere nero su bianco la sua storia coniugale, che “continua tra alti e bassi, ma se da un lato (il mio) continua imperterrita la voglia innata di calore e di passione, dall’altro invece tutto si è sopito, o peggio è stato volutamente rimosso dopo una crisi durata diversi mesi e in cui siamo stati lì per lì per lasciarci… Qualcosa è ormai cancellato. Non riesco, per amore della famiglia, a rimanere “congelato” in un amore senza condivisione. probabilmente l’inevitabile diverrà certezza”. Un altro punto forte: l’amore non dura senza condivisione.

Arturo lamenta difatti l’assenza di dialogo con molte donne le quali, “piuttosto che provare a tenersi il marito” preferiscono inseguire quel che per loro è “giusto”. Un altro marito lo approva: “Arturo centra il punto. Divario tra ciò che sembra giusto o meglio tale sembra a ciascuno dei coniugi, e quello che realmente serve a far durare (possibilmente senza che si tramuti in inferno) il matrimonio. Perché se si ha questo come obiettivo comune è a questo fine che occorrerebbe lavorare rinunciando ai propri egoismi immediati. Il che non significa in un mutuo scambio rinunciare a se stessi. Mia moglie non lo ha mai fatto. Credo neanche capito. Nella pubblica opinione quello crudele mentalmente sono io. Perché ho imposto il rispetto dei miei spazi e persino che chiudesse gli occhi di fronte a qualche tralignamento. Giusto. No? No. Io sono rimasto a casa. E i primi tempi per anni e anni ho sperato che condividesse un mio interesse o che mi approvasse o che mostrasse desiderio di me. Niente. Però a tutti i costi voleva un marito a casa”. E Arturo replica ricordando come la Dandini, “una delle donne più intelligenti della TV italiana, ad una domanda sui rapporti di coppia, rispose: “Ci sono uomini che accettano il conflitto, mentre altri non l’accettano, tutto qui”. Non ho difficoltà ad ammettere che rimasi, letteralmente, sconvolto. Quindi, pensai, per una donna, anche per una che si è sempre distinta per intelligenza, humour e bagaglio culturale, la dimensione naturale del rapporto è il conflitto? Ed io che ho sempre ingenuamente pensato che il vero cemento non poteva essere che il desiderio di costruire una vita insieme, superando ogni difficoltà con spirito di comprensione ed affetto rinforzato”.

Forse con l’intento di spiazzare gli altri, un lettore afferma che più tradisce la moglie e più la ama. Mariella ribatte con ferma amarezza: “Bella morale piccolo borghese! mi sembra mio marito che, da quando sto male, tutto un dire “io ti sono vicino”. Ma le sue evasioni se le è cercate, forse per dirsi tra sé e sé quanto mi ama! e forse, devo pensare, molto meno nella realtà che nella sua fantasia, come accade a molti uomini”. E sfiora un ulteriore delicatissimo tema, quello della resistenza della coppia a una pressione esogena tremenda quale può essere la malattia grave di uno dei due coniugi.

Infine, i messaggi positivi. Pochi, è vero, ma quelli ai quali, specie se giovani coppie, occorrerebbe ispirarsi. Maria racconta di essere felicemente sposata da dodici anni. Una mosca bianca? Forse; se tornasse indietro, dice, “risposerei mio marito altre 1000 volte. Abbiamo affrontato cose belle e cose brutte, salute e malattia… quello che voglio dire è che è ancora possibile volersi bene! Certo se dovessi rivelare il nostro segreto direi che la fede é ciò che ci ha sostenuto e ci sostiene ogni giorno. La cultura dominante tende a svilire questo aspetto essenziale dell’esistenza forse con troppa leggerezza rubandoci una opportunità e spesso il gusto di vivere… Forse nella nostra vita frenetica dovremmo concederci il lusso di ritrovarci”. Enzo, sposato da 34 anni, ci dà un emozionato, ed emozionante, ritratto di sua moglie, con la quale mette quotidianamente in pratica una ricetta per la felicità coniugale alla quale hanno contribuito doti pratiche, come l’arte culinaria, ma anche “la sua assoluta mancanza di senso di proprietà nei miei confronti, il suo essere qualcuno per conto proprio, e non “la moglie di”, la capacità di farmi sentire a casa dovunque ci fosse lei, la sua enorme disponibilità verso chiunque”.

La capacità di “sentirsi a casa” ovunque sia l’altro: ancora una volta, condivisione e complicità.

Su questo invito alla speranza, al trovarsi e al ritrovarsi, rinviamo ancora ai versi di Ivano Fossati per la conclusione: “La costruzione di un amore/ non ripaga del dolore/ è come un altare di sabbia/ in riva al mare./ La costruzione del mio amore/ mi piace guardarla salire/ come un grattacielo di cento piani/ o come un girasole”.

Un grattacielo a cui pochi privilegiati accedono, consapevoli che per innalzare cento piani si deve cominciare dal primo gradino. E che, come il girasole che svetta orgoglioso e ricco di colore, la pianticella dell’amore ha bisogno di cure ininterrotte.

Rosamaria Alibrandi

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