Fare soldi con le demolizioni delle case abusive. La mafia avrebbe sfruttato il ripristino della legalità a Licata dove nel 2016 arrivarono le ruspe. L’inchiesta che mercoledì ha portato al fermo di sette persone svela la paradossale vicenda.
Tre anni fa, quando il procuratore di Agrigento era Renato Di Natale e sindaco di Licata Angelo Cambiano, fu deciso di dare seguito ad una sfilza di sentenze ormai definitive: le case in contrada La Rocca e nel rione balneare di Torre di Gaffe erano state costruite in zona di assoluta inedificabilità e dovevano essere abbattute.
Seguirono dure proteste dei residenti, manifestazioni e tensioni. Al titolare dell’impresa “Patriarca Salvatore” di Comiso, che si era aggiudicata la gara da 270 mila euro per le prime demolizioni, fu recapitata una lettera di minaccia. Era una sfida allo Stato, che non si piegò. L’imprenditore, che in un primo momento aveva deciso di fare un passo indietro, accese i motori delle ruspe. Un anno dopo Cambiano, il “sindaco demolitore”, così fu definito, venne sfiduciato anche se ufficialmente si disse che era la gestione politica del Comune ad essere stata bocciata e le ruspe nulla c’entravano.
L’inchiesta della Dda di Palermo fa emergere che mentre avveniva tutto questo i boss si sfregavano le mani. Con le demolizioni si potevano fare soldi. L’argomento fu discusso in uno dei tanti incontri tra Giovanni Lauria, soprannominato “il professore” e considerato il capomafia di Licata, il figlio Vito, Giovanni Mugnos (tutti arrestati) e Cosimo Ferlito, considerato personaggio di spicco della mafia di Caltagirone e già in carcere.
Ferlito ha discusso con i licatesi dell’affare della demolizione prevista “a fine mese, nel vostro paese (a Licata) da uno del Comiso (e cioè Salvatore Patriarca) per 300.000 euro di lavoro…”. Vito Lauria si diceva pronto a sfruttare le sue “entrature” al Comune per evitare intoppi, ma il padre Giovanni era convinto che non servisse: “No al Comune… alla ditta stesso…”, anche perché il titolare dell’impresa “si è messo a disposizione, dice…”.
Di tutto questo si discusse il 2 gennaio 2016. La Mercedes di Ferlito era imbottita di microspie. Proprio come la settimana precedente quando lo stesso Ferlito aveva consegnato alle registrazioni dei carabinieri del Ros il suo piano: “Se riesco ad acchiappare questa impresa… ci scippu u bigliettino… ci dico… se c’è cosa… là… che ci siamo noialtri… a Licata… questa del Comiso è una impresa… si chiama Patriarca… si chiama… geometra Salvatore Patriarca, e ha vinto un lavoro a Licata… è il lavoro… sai tutte quelle case abusive… che le devono sdirrubare con le ruspe… ddocu è filietto… ddocu avemu, noialtri, carta bianca… a noialtri ci interessa che si dirotta verso noialtri… se lui è duro… ora … noialtri, dopo queste feste… ci scendiamo tutti e due un’altra volta … hai capito?”.
“La programmata attività estorsiva in danno della impresa – annotano gli investigatori – contemplava anche la costrizione della persona offesa a subappaltare ad una impresa di gradimento a cosa nostra le attività di trasporto di inerti derivanti dalla demolizione delle abitazioni abusive di Licata”.
Il 18 gennaio successivo Ferlito spiegava a Mugnos al telefono: “Siccome c’è un amico mio che deve fare dei lavori lì in zona… omissis… una cosa, poi per quanto riguarda… c’è qualcuno che fa il conto terzi? Sai i trasporti… che può fare la fattura conto terzi? Informati anche per questo”. Mugnos lo tranquillizava: “… qua c’è tutto, non ti preoccupare… vediamo… dov’è che non possiamo andare noi, ci arrivi tu, Davidù… omissis… va bene, ok? Questo ti volevo dire più che altro, dov’è che non possiamo arrivare noi, arrivi tu. Qual è il problema? Va bene?”. Alla fine alcuni subappalti furono affidati ad un imprenditore che avrebbe assunto una donna su indicazione di Mugnos
“Le conversazioni intercettate, sebbene inequivoche in ordine alla dinamica tutta mafiosa che ha caratterizzato i rapporti tra le due articolazioni di cosa nostra e i titolari delle società coinvolte – scrivono gli investigatori – non hanno consentito di documentare la esplicita richiesta estorsiva nei confronti di costoro; allo stato, non è possibile contestare la più grave ipotesi delittuosa dell’estorsione e ciò almeno fino a quando non verranno escusse le persone offese”. Ed ecco un nuovo capitolo investigativo ancora da scrivere, mentre è di pochi mesi fa la notizia del ricorso dell’impresa “Patriarca Salvatore” che non riesce a incassare dal Comune un credito di 250 mila euro.