Se Falcone diventa una maglietta - Live Sicilia

Se Falcone diventa una maglietta

L'immagine del giudice stampata
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Giovanni Falcone

Ci saranno magliette con Giovanni Falcone che apre una finestra. Saranno cucite, stampate e vendute.  La morale è chiara come il guadagno. Esportare l’immagine di una Sicilia positiva. Mettete una goccia di Falcone nella vostra lupara e il marchio insanguinato di questa terra si addolcirà, darà la giusta luce ai palermitani antimafiosi, che pure ci furono e ci sono. Non meritiamo di essere ricordati e chiacchierati solo per Provenzano e Riina. L’intento pedagogico è lodevole e apprezzabile. Sembra cosa buona e giusta. Ma accanto nasce il rodimento sottile di un dubbio. Proviamo a spiegare di che si tratta.

C’è un rapporto conflittuale e non risolto tra noi siciliani e la memoria. Abbiamo tonnellate di ricordi. Abbiamo esempi di cammini luminosi e onesti. Abbiamo il rintocco del sacrificio degli altri. Ma non sappiamo gestirli se non due volte all’anno, quando si celebrano i lutti di Capaci e via D’Amelio. Per il resto, è difficile trovare palpiti collettivi di riscatto e di riscossa civile. La nostra antimafia non è quotidiana, non si nutre dell’opera silenziosa di ogni giorno. Anzi, di norma prevarichiamo il diritto, quando non ci prevaricano altri peggiori di noi. E in ogni caso, nell’azione o nell’omissione, non battiamo ciglio, non denunciamo, non ci arrabbiamo. Accettiamo il corso rugginoso della vita e non protestiamo, se non flebilmente. Non è un’ignavia in palese contraddizione con l’eredità di intenti e di affetto per la nostra comune terra lasciata da uomini come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino?

Forse questo accade perché abbiamo conservato l’immagine e smarrito ciò che conta, la sostanza, a dispetto dell’opera meritoria di enti e associazioni che custodiscono e vivificano una parte talmente importante di storia. La nostra memoria è un fiorire di nomi e intitolazioni, di retorica e lacrime in buonafede. Mai un approfondimento collettivo, mai una meditazione sull’insegnamento vero e  indigesto dei due magistrati, perché indigesta e tormentata è la strada dell’onestà in Sicilia. Abbiamo risolto il problema con un approccio di superficie. Abbiamo trattato Falcone e Borsellino come statue, come un “marchio” semplificato, pareggiato dalla prosopopea, come merce finora eterea di facile esportazione, dimenticando che la lezione più profonda viene dalla loro umanità, dall’identità di due persone in carne, sangue, ossa e sofferenza sulla strada di Capaci e di via D’Amelio.
Ci pare che la creazione di una maglietta, arricchita dal bel viso aperto di Giovanni Falcone,  rischi di portare solo un prodotto in più  (che stavolta si tocca e si annusa) sugli scaffali del grande marketing dell’antimafia. Un altro alibi per la coscienza labile che si intreccia  con una smemoratezza tutta da indossare. Le magliette coprono il sudore degli uomini, non lasciano intravvedere la pelle.


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