La fase attualmente attraversata dalla Chiesa cattolica è davvero difficile da definire. Da un lato, infatti, si registrano ritardi culturali e timidezze riformiste, al punto che non pochi osservatori ‘laici’ propendono per vedere nel pontificato di Francesco un’abile operazione di marketing religioso. Ma basta, dall’altro lato, leggere gli attacchi al papa e ai suoi più stretti collaboratori da parte degli ambienti della ‘destra’ conservatrice per capire che qualcosa – forse molto più di qualcosa – è effettivamente in movimento. Forse la verità è che si sta osservando un pachiderma bimillenario con un miliardo di cellule diffuse in cinque continenti: se avanza alla velocità di pochi chilometri all’ora, sarà un progresso oggettivamente molto lento ma – per le sue possibilità – una sorta di corsa spericolata.
Un esempio recentissimo è costituito da un documento programmatico (Instrumentum laboris ) pubblicato dal Vaticano in vista del sinodo dei vescovi sull’Amazzonia, in programma nel prossimo ottobre. Con scandalizzata sorpresa di intellettuali cattolici molto attivi nei media (social compresi) in questo “strumento di studio” si pongono all’ordine del giorno delle tematiche che, certamente inedite tra i vertici della Chiesa cattolica, non lo sono né per i dirigenti di altre Chiese cristiane di matrice protestante né per tanti teologi cattolici che ne discutono da decenni, pur sapendo di incorrere in fulmini censori nel lungo inverno woytiliano-ratzingeriano:
a) L’Amazzonia, come tante altre regioni del pianeta, prima di essere campo di evangelizzazione da parte dei cristiani, è «una realtà piena di vita e di saggezza» (n. 5), che chiama i cristiani dell’Occidente industrializzato a una conversione «pastorale, ecologica e sinodale» (n. 5). In particolare essa testimonia due grandi verità trascurate, o dimenticate, dalla cristianità: che «tutto è connesso» (n. 20), «costitutivamente in relazione, formando un tutto vitale» (n. 21); che i beni materiali sono tendenzialmente condivisi e «gli spazi privati – tipici della modernità – sono minimi»;
b) Nei confronti dell’Amazzonia, come di altre aree della Terra, l’Occidente cristiano si è reso colpevole di eccidi di cui deve chiedere “umilmente perdono” insieme alla Chiesa cattolica che è stata “a volte complice dei colonizzatori e ciò ha soffocato la voce profetica del Vangelo» (n. 38);
c) Il celibato dei preti non può più considerarsi una norma intoccabile: «per le zone più remote della regione, si studi la possibilità di ordinazione sacerdotale di anziani, preferibilmente indigeni, rispettati e accettati dalla loro comunità, sebbene possano avere già una famiglia costituita e stabile, al fine di assicurare i Sacramenti che accompagnano e sostengono la vita cristiana» (n. 129);
d) Inoltre, occorre «garantire alle donne la loro leadership, nonché spazi sempre più ampi e rilevanti nel campo della formazione: teologia, catechesi, liturgia e scuole di fede e di politica» e «identificare il tipo di ministero ufficiale che può essere conferito alle donne, tenendo conto del ruolo centrale che esse svolgono oggi nella Chiesa amazzonica».
Non è certo questa la sede per analizzare ulteriori dettagli della bozza di lavoro su cui cardinali, vescovi e teologi sono invitati a confrontarsi a Roma nel prossimo autunno. Chiaro, però, mi appare il messaggio centrale: per riprendere il titolo di un libro del vescovo episcopaliano John S. Spong, recentemente tradotto in italiano da “Il pozzo di Giacobbe”, Il cristianesimo deve cambiare o morire. Quanti si accaniscono nel difenderne la configurazione – sostanzialmente medievale – acquisita in questi due millenni sia dal punto di vista dottrinario che istituzionale, pur essendo spesso in buona fede, non sanno di prepararne i funerali.