Se servono vent'anni |a mettere in moto le ruspe - Live Sicilia

Se servono vent’anni |a mettere in moto le ruspe

Il muretto abbattuto ieri nella Valle dei Templi. L'abuso era stato accertato nel '93. Così in Italia tra cavilli e rimpalli il mattone illegale resiste per decenni.

Abusivismo edilizio
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E così alla fine ad Agrigento si videro le ruspe in azione. Dopo 14 anni dall’ultima volta. E dopo una ventina d’anni, ricostruiva oggi La Stampa dall’accertamento dell’abuso. Sono i tempi dell’Italia dei cavilli e dei rimpalli. Quelli per cui gli anni passano a impolverare i mattoni abusivi. Come nel caso del muro abbattuto ieri nella Valle dei Templi. L’abuso accertato nel 1993, la sentenza di condanna del pretore nel 1996, l’ingiunzione a eseguire la sentenza del 1999 e finalmente l’esecuzione, dopo rimpalli di ogni sorta e meline, il 24 agosto dell’anno del Signore 2015. E sarebbe solo l’inizio, perché altri abbattimenti dovrebbero seguire già domani. Otto sono gli immobili abusivi da buttare giù nella Valle dei Templi. Gocce nel mare secondo qualche ambientalista più intransigente che già liquida come polvere negli occhi l’intervento delle ruspe, indicando altri abusi più gravi. Sarà. Quel che è certo e oggettivo in tutta la vicenda, e che fa riflettere sulla certezza del diritto, è la tempistica. In quei 22 anni trascorsi dall’accertamento dell’abuso alla sua rimozione (che ieri all’ultimo minuto i proprietari, raccontano le cronache, hanno tentato ancora una volta di postergare attaccandosi a un altro cavillo formale) c’è tutto il senso delle armi spuntate che lo Stato ha contro i furbetti del mattone. Perché la casistica è varia e spesso tutto si inceppa nel frequente caso in cui l’abuso finisce prescritto. A quel punto l’edificio andrebbe demolito ma non su iniziativa dell’autorità giudiziaria, bensì per mano di enti locali e soprintendenze. E lì spesso si blocca tutto. Ad Agrigento la prescrizione si è evitata e l’autorità giudiziaria ha diffidato il Comune. Ciò malgrado è trascorsa un’era. E se per un muretto c’è voluto tanto, figurarsi per gli ecomostri che a macchia di leopardo sfregiano la Sicilia. Scheletri, incompiute, e tra queste diverse opere pubbliche. Che deturpano il paesaggio da dieci, venti anni, anni invischiati di contenziosi, carte bollate e codicilli. Che tengono in piedi a oltranza il cemento dell’abuso. Fin quando una ruspa, una volta ogni tre lustri, per un quasi miracolo non si mette in moto. Servirebbero nuove norme, spiegano gli addetti ai lavori. Ma prima ancora servirebbe una politica meno morbida nei confronti dei furbetti del cemento. E dei loro voti.


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