MESSINA– Ha ‘colpa’ il padre separato che non trova lavoro dopo essersi trasferito da Milano a Messina perché é risaputo che nelle regioni meridionali è più difficile trovare lavoro. Quindi se non è più in grado di pagare l’assegno di mantenimento per i figli minori non può sostenere la sua ‘incolpevolezza’ nell’aver fatto una scelta dalle negative conseguenze economiche. Così resta senza successo la battaglia Rosario R., un padre separato che dal 2000 non aveva versato l’assegno all’ex moglie Laura C. per i figli minori Valeria e Fabrizio, e che ha fatto ricorso alla Suprema Corte contro la condanna a sei mesi di reclusione e 800 euro di multa, oltre al risarcimento delle tante mensilità non pagate, inflittagli dalla Corte d’appello di Milano il 6 aprile 2001 a conferma di quanto stabilito dal tribunale del capoluogo lombardo il 30 ottobre del 2006.
Nell’udienza davanti ai supremi giudici Rosario ha sostenuto che non “si poteva ravvisare colpa nella sua scelta di trasferirsi da Milano a Messina, con conseguente maggiore difficoltà nella ricerca di lavoro”. Ma la Cassazione ha respinto il suo reclamo convalidando il “giudizio di colpevolezza” e ha bollato come destituita di fondamento la tesi difensiva sulle “difficoltà di sistemazione lavorativa che l’uomo avrebbe incontrato a seguito del suo trasferimento da Milano a Messina” perché “non dimostrano lo stato di incolpevole indigenza in cui si sarebbe venuto a trovare”. In pratica la scelta del trasferimento in una regione dalle scarse possibilità di impiego non determina “quella condizione di assoluta impossibilità ad adempiere l’obbligo di contribuire al soddisfacimento delle primarie esigenze di vita dei figli minori”. Inoltre la Suprema Corte – con la sentenza 48210 – rimprovera al padre separato di non aver mai chiesto “al giudice civile la modifica delle statuizioni economiche fissate a suo carico in sede di separazione” e ha criticato la scelta “di sottrarsi unilateralmente ai propri doveri” ‘fuggendo’ verso sud. Per la Cassazione è “pacifica” anche la colpa di Rosario “di non aver coltivato rapporti significativi con i figli” usando come scusa l’ostruzionismo fattogli dalla ex moglie. In proposito la Cassazione lo critica per essersi “ben guardato dal fornire la prova di un suo concreto attivarsi per garantire comunque ai figli la presenza della figura paterna, limitandosi ad evocare generiche segnalazioni fatte all’autorità giudiziaria, lettere inviate ai figli e richieste di contattarli attraverso la mediazione dei servizi sociali”.
(ANSA)