CATANIA – Processo Noce: depositate le motivazioni della sentenza. Una quarantina di pagine che ripercorrono le fasi salienti del secondo dibattimento finalizzato a stabilire se al momento del fatto l’imputato Loris Gagliano fosse capace di intendere e volere. Questo è il contenuto delle motivazioni del processo d’appello conclusosi il 24 novembre dello scorso anno. L’imputato, in primo grado, era stato condannato all’ergastolo per l’omicidio volontario della ex fidanzata, Stefania Noce, del nonno di lei, Paolo Miano e del tentato omicidio di Ballirò Gaetana. La pena è stata confermata anche al termine del secondo processo. Per inquadrare bene la decisione dei giudici bisogna partire dalla richiesta di rinuncia all’impugnazione espressa da Gagliano il 30 ottobre del 2014 pochi giorni prima della requisitoria del Pg a istruttoria dibattimentale già conclusa: una richiesta accolta e considerata valida.
Ma andiamo con ordine. Dopo la condanna in primo grado, il legale di Gagliano ricorre in appello. Una scelta che si fonda su quattro motivi: espletare “una perizia psichiatrica per valutare la capacità di intendere e volere dell’imputato al momento del fatto e l’attuale del medesimo di partecipare consapevolmente al processo”, escludere l’aggravante della premeditazione per il duplice omicidio, chiedere “per il tentato omicidio la derubricazione nel reato di lesioni volontarie” e “l’applicazione delle attenuanti generiche ad una rideterminazione della pena in misura più favorevole”. Durante il processo di primo grado, celebrato con rito abbreviato, nessun documento sullo stato psichico di Gagliano era stato prodotto perché nessuna questione sull’imputabilità era stata posta da parte dell’imputato e del difensore, mentre le parti civili avevano depositato due relazioni contenenti pareri sulle condizioni del Gagliano “non definibili consulenze in mancanza di una perizia”. La richiesta di procedere ad “accertamenti di natura psichiatrica” da parte dell’appellante viene corredata da una relazione del professore Eugenio Aguglia, un esame psicodiagnostico che il consulente ha chiarito in udienza.
Da qui prende le mosse la decisione della corte di disporre una perizia psichiatrica. Comincia così un via vai di consulenti, anche noti al grande pubblico televisivo, e di ipotesi e pareri sulle condizioni del Gagliano e una serie di colpi di scena legati a varie decisioni dell’imputato che i legali delle parti civili bollano, si dall’inizio, come “una strategia” volta a dimostrare l’incapacità a stare in giudizio. Ad esempio la richiesta di revoca del difensore di fiducia, quella di annullamento del ricorso a incarico peritale conferito e la rinuncia all’impugnazione poco prima che iniziasse la discussione con la requisitoria del Procuratore Generale. Il nodo centrale del dibattimento, nei fatti, diventa la capacità del Gagliano di partecipare consapevolmente al processo. Su questo punto si focalizza l’attenzione della corte che tiene in considerazione il fatto che, a eccezione del consulente della difesa, gli esperti chiamati a esprimere un parere “hanno più volte attribuito all’imputato una cosciente strategia che ne ha determinato le scelte processuali, sia nella conduzione delle operazioni peritali, sia in altre direzioni”.
Da un’attenta valutazione dei vari pareri illustrati in aula dai periti nominati dal tribunale, quelli del Pg e dai consulenti di difesa e delle parti civili, la corte nelle motivazioni parla dell’imputato come di “un giovane di normale capacità intellettiva” che soffre di una “patologia ordinaria che non gli ha impedito nel dopo di rendersi conto dei gesti compiuti”. Durante l’esperienza carceraria l’imputato può avere maturato “un istinto di espiazione” con manifestazioni esterne “anomale”, ma non riconducibili ad una ulteriore situazione di infermità di livello talmente grave da equiparare o superare quello valutato alla stregua del vizio parziale di mente”. “Se il desiderio di espiare può avere condizionato il rifiuto a proseguire e concludere gli accertamenti ed a formulare la prima rinuncia all’impugnazione, un istinto conservativo gli ha pure suggerito di rispondere a questa corte che intendeva consultarsi con il proprio avvocato prima di decidere se accettare o meno di sottoporsi a perizia”.
“I due contrastanti impulsi, ben comprensibili anche nel caso di un individuo totalmente sano di mente, – si legge – possono avere determinato la revoca del difensore di fiducia perché ad esso va fatta risalire ogni iniziativa circa gli accertamenti psichiatrici, e , a distanza di tempo, la nomina di un difensore di fama nazionale, rivelatasi di ispirazione meramente velleitaria, ma indicativa della ricerca di una soluzione magica che potesse tiralo fuori dalla situazione in cui era precipitato”. “Non si può che ribadire che nessuno può entrare nella mente di un’altra per coglierne i più profondi e reconditi impulsi del pensare e dell’agire; in questa sede è sufficiente concludere che quanto accertato nel contraddittorio processuale delle Parti esclude che l’imputato abbia partecipato al processo in stato d’incapacità per determinare consapevolmente le proprie scelte”, si legge nelle motivazioni. Una considerazione che nei fatti rende “perfettamente valida” la rinuncia all’impugnazione formulata dall’imputato e inammissibile l’appello.