Si scrive Crocetta, |si legge Lombardo - Live Sicilia

Si scrive Crocetta, |si legge Lombardo

Rosario Crocetta ha impostato la sua missione di governo soprattutto sulla discontinuità, almeno a parole. Perché poi, andando a guardare le cose concrete, si scopre che...

PALERMO- Gianni Silvia capo di gabinetto del presidente della Regione. Patrizia Monterosso segretario generale. L’attualità è anche storia. L’istantanea “di cronaca” è anche foto d’archivio. A palazzo d’Orleans sembra non essere cambiato nulla. E invece, qualcosa sarebbe cambiato. C’è un nuovo presidente della Regione. Nuovissimo. Per storia personale e carattere. Gesti e rapporto con i mass media. Nonostante ciò, oggi, trovare differenze tra Rosario Crocetta e il passato che il nuovo presidente vuole definitivamente mettere alle spalle, non è un’impresa così facile.

Un anno fa Gianni Silvia era il capo di gabinetto di Raffaele Lombardo. Lo divenne dopo la “promozione” proprio di Patrizia Monterosso al ruolo di burocrate (esterno, per di più), più alto in grado. Nel 2013, la situazione è identica. Nonostante la “discontinuità col passato” sbandierata, urlata dal governatore. Ma dov’è la discontinuità?

Qualche sospetto, in effetti, era sorto quasi subito. Nella formazione del primo governo Crocetta. Dietro i lustrini di Battiato, i progetti “cosmici” di Zichichi, il nuovo (fuori) corso del centrosinistra rappresentato – negli annunci di Crocetta – da Nelli Scilabra, ecco fare capolino Patrizia Valenti, Ester Bonafede, Dario Cartabellotta. Quest’ultimo, dirigente generale all’assessorato Agricoltura con Cuffaro e all’inizio del governo Lombardo, poi nominato direttore dell’Istituto vite e vino. Ester Bonafede è stata persino candidata all’Ars fra le fila dell’Aquilone, la lista collegata al presidente Totò Cuffaro nella tornata elettorale del 2006. Patrizia Valenti, invece, ha ricoperto anche il ruolo di capo della segreteria tecnica del presidente di Raffadali. Ed è considerata oggi vicina all’area del Pdl che fa capo a Giuseppe Castiglione e Pino Firrarello. “Non è mica un marchio di infamia – commentava alcuni mesi fa Ester Bonafede – noi siamo qui per lavorare e siamo persone perbene”. Nessun dubbio. Ma perché il presidente avverte la necessità di marcare, allora, questa discontinuità?

Anche perché altre scelte ricordano davvero il predecessore. Nel caso di Lucia Borsellino, ad esempio, ecco che le suggestioni lombardiane sono due. La prima è, ovviamente, l’esperienza di dirigente generale (tra i più stretti e fidati) dell’assessore Massimo Russo. L’altra, quella cifra (e quel cognome) vera garanzia di onestà, che Lombardo cercò e trovò nella presenza di un’altra donna. Altrettanto pacata e cortese come Caterina Chinnici. E a proposito di Massimo Russo, che dire dei “rimandi” nella scelta di piazzare in giunta un magistrato, preferibilmente “antimafia”? Russo, appunto, con Lombardo. Nicolò Marino con Crocetta.

Questione di nomi. E di cognomi. In alcuni casi, a dire il vero, fin troppo ricorrenti. A sostenere la maggioranza di Crocetta, oggi, c’è un foltissimo gruppo di uomini politici che hanno vissuto, persino con ruoli da assoluti protagonisti, l’era Lombardo. E quella di Cuffaro. Lino Leanza fu il governatore che sostituì Cuffaro per un breve periodo a Palazzo d’Orleans, prima di sposare la causa di Raffaele Lombardo, di cui è stato il braccio destro, prima della rottura. Oggi, alla guida di Articolo 4 è uno degli alleati più affidabili del presidente Crocetta. La prima giunta del governo Lombardo, quella di centrodestra, per intenderci, annoverava, invece, tra gli assessori, Michele Cimino al Bilancio, Pippo Gianni all’Industria e Titti Bufardeci alla Cooperazione. I primi due, all’Ars, sebbene da posizioni “indipendenti”, sciolte dai partiti di provenienza (Grande Sud e Cantiere popolare) oggi sostengono l’operato del governo. Bufardeci, invece, dopo lo strappo con Micciché è stato scelto da Crocetta come membro del Cga.

Ma ovviamente, non finisce qui. Sono tanti, oggi, i deputati al fianco del governatore che hanno persino militato nell’Mpa di Lombardo. Un’esperienza dalla quale Crocetta continua a voler segnare le differenze. A sostegno della maggioranza oggi c’è l’ex capogruppo dell’Mpa all’Ars Nicola D’Agostino, passato all’Udc, e altri ex autonomisti come Totò Lentini, Paolo Ruggirello e Beppe Picciolo. Mentre Riccardo Savona fu il fondatore nella scorsa legislatura dell’Mps, forza politica legatissima al partito del governatore di Grammichele. E ovviamente, non mancano nemmeno gli ex ‘”cuffariani’: da Nino Dina a Totò Cascio, recentissimamente passato all’Articolo 4, dopo aver scelto come ‘comandato’ da impiegare all’Ars il papà di uno degli assessori di Crocetta, Nelli Scilabra.

Ma al di là dei nomi, ovviamente, c’è di più. C’è un vecchio insegnamento destinato a chi comanda. “Divide et impera”. Dividi, spezza, frantuma, per governare meglio. L’operazione riuscì benissimo a Raffaele Lombardo. Sia nei confronti del Pdl, dove ha favorito la fuoriuscita dei miccicheiani e la nascita del Pdl Sicilia, ma anche col Pd, dilaniato per lunghi mesi dal dubbio atroce: proseguire o interrompere l’esperienza al fianco di Lombardo? Crocetta spezza, e raccoglie. E aggiunge gli onorevoli detriti dei vecchi gruppi parlamentari alla massa della sua maggioranza. Che cresce sempre un po’ di più. E sempre più eterogenea. Oggi, all’Ars, esistono undici gruppi parlamentari. Erano dodici, fino a qualche giorno fa. Prima della fuoriuscita del cantiere popolare di Cascio verso la maggioranza crocettiana, che ha fatto così sciogliere la rappresentanza all’Ars del partito di Saverio Romano. Divide et impera, appunto.

C’è poi la vicenda riguardante il Megafono. Anche questa in qualche modo parallela a quella del Movimento per l’autonomia. Un movimento, appunto, nelle intenzioni iniziali. Non un partito. Nata all’interno del centrodestra la creatura di Lombardo, dentro la pancia del Pd quella di Crocetta. Forze politiche che hanno rispecchiato le velleità dei due leader-fondatori. Che non hanno smesso mai di guardare al quadro nazionale. L’Mpa, si ricorderà, avrebbe dovuto rappresentare il ‘contrappeso’ meridionalista alla Lega Nord, mentre il Megafono e Crocetta soprattutto, sta provando a vestire i panni dell’anti-Renzi. Con tanto di presentazione-sfida del movimento a Firenze. E nel Megafono, a recitare il ruolo di vero ponte ideale con l’era chiusasi in anticipo lo scorso ottobre, è Beppe Lumia. Tra i più convinti sostenitori, fino a poco più di un anno fa, della necessità di tenere il Pd ancorato al governatore di Grammichele.

Il Megafono di Lumia e Crocetta oggi butta lo sguardo al di là dello Stretto, ma restando fortemente piantato in terra sicula. Così come l’Mpa, appunto. Il Movimento del politico di Grammichele, infatti, ha visto negli anni progressivamente crescere il proprio consenso insieme alla permanenza a Palazzo d’Orleans di Raffaele Lombardo. Un consenso, in molti casi, fondato su logiche molto pragmatiche, ben lontane dagli slanci indipendentisti o autonomisti. Il sottogoverno è servito da base per poggiare il potere dell’esecutivo. Col ricorso massiccio a nomine in giunta di fedelissimi (ricordiamo il caso di Sebastiano Di Betta, il maggior finanziatore privato di Lombardo nominato assessore all’ambiente), e quello a consulenti e collaboratori vari. Non è un caso che quel consenso elettorale si sia clamorosamente sgonfiato in concomitanza con l’uscita di Lombardo dal portone di Palazzo d’Orleans.

Ma Crocetta, in un certo senso, è andato persino oltre, chiamando al governo non solo una ex candidata del Megafono come Maria Rita Sgarlata, ma persino la sua segretaria particolare Michela Stancheris, piazzata al Turismo. E la linea di continuità col passato è evidente anche nelle rotazioni continue dei dirigenti generali. Crocetta ha confermato due dei costosissimi esterni di Lombardo come Palma all’Ufficio legislativo e legale e Lupo ai Rifiuti. E direttori in auge in epoca cuffariana e lombardiana come Vincenzo Falgares (che fu a lungo il capo della segreteria tecnica di Cuffaro), Rosaria Barresi, Pietro Lo Monaco sono stati tenuti al loro posto o spostati a capo di dipartimenti più prestigiosi.

Col predecessore, però, il nuovo governatore condivide anche un’altra pratica. La volontà di tenere in pugno la Sicilia, i suoi gangli vitali, le leve del potere è rappresentata dal ricorso massiccio ai commissariamenti. Apparentemente fondati su ragioni di ‘bonifica’ della Sicilia, in molti casi rischiano di apparire solo un modo per tenere o piazzare fedelissimi. Mentre tutte le Province sono commissariate, un esempio più evidente riguarda la Sanità. Dapprima si è sventolata la bandiera della trasparenza e dell’imparzialità, annunciando l’affidamento a una commissione di esperti della selezione dei nuovi manager. Poi quegli stessi esperti sono stati esautorati. E da mesi è un balletto sulle modalità di selezione che ha, come unico risultato, quello di mantenere sulla stessa poltrona i commissari amici.

E nemmeno altrove i commissari mutano granché. Alcuni esempi su tutti: l’ex guida di tre Asi sotto il governo Lombardo, Alfonso Cicero, è a capo dell’Irsap, l’Istituto che le ha inglobate. Cicero, per capirci, era l’ex segretario particolare di Marco Venturi, assessore di Lombardo. In quei mesi, una delle consulenti di Venturi era Linda Vancheri, oggi assessore. Altro segno di continuità, fondato sulla matrice “legalitaria” della Confindustria nissena. La stessa matrice che ha convinto il presidente Crocetta a scegliere l’ex vicepresidente di Confindustia Dario Lo Bosco come commissario della Camera di Commercio di Catania. Lo Bosco è già presidente dell’Ast, società partecipata della Regione. Lo era anche con Lombardo.

Alle Terme di Sciacca, intanto, commissario è lo stesso voluto da Lombardo (e soprattutto da Roberto Di Mauro), Carlo Turricciano; all’Eas la liquidazione infinita è nelle mani di un ex candidato dell’Mpa, Dario Bonanno. Fino a pochi giorni fa, invece, prima cioè delle plateali denunce che hanno portato al commissariamento dell’ente e alla chiamata di Antonio Ingroia, dopo il fallito tentativo di assegnare all’ex pm la guida di Serit, a reggere Sicilia e-servizi era Antonio Vitale , avvocato vicinissimo all’Mpa. Dopo un anno di governo, dopo una commissione di inchiesta all’Ars, dopo centinaia di inchieste giudiziarie e giornalistiche, il governatore si è accorto che forse lì era giunto il momento di cambiare. All’Ircac, invece, Antonio Carullo ha attraversato le ere Cuffaro e Lombardo. Da quasi un decennio alla guida dell’ente, il commissario oggi è sempre lui. Oggi. Come ieri. Quando Gianni Silvia era il capo di gabinetto e Patrizia Monterosso il segretario generale. Con un altro governatore però. Ieri. Come oggi.


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