La caccia alle responsabilità è una pratica stucchevole e del tutto inutile. Se i conti della Regione sono messi così male, la colpa è davvero di tutti. Noi compresi. Passateci questa botta di qualunquismo, ma per una volta, la considerazione ci pare aderire perfettamente alla realtà. La realtà di una politica che per venti, trent’anni, ha esagerato, speso, sperperato, illuso, assunto, coccolato. Tutto per il proprio tornaconto – cioè il voto – camuffando l’interesse per “il territorio” con quello personale, l’interesse generale con la convenienza del momento.
Ma dire che la colpa sia solo della politica è troppo facile. È una pratica assolutoria e improduttiva tanto quanto le accuse incrociate di oggi. Quelle del presidente della Regione che legittimamente afferma di pagare per gli errori del passato, facendo finta che quel passato col suo governo non c’entri nulla. E quelle di un’opposizione che ha sostenuto un governo sgangherato come quello guidato da Crocetta (governo, poi, si fa per dire, visto che di assessori ne sono passati cinquanta) e che oggi grida allo “scandalo dei conti”.
Ma la colpa non è solo della politica. E se davvero si vuole gettare il cuore oltre il disavanzo, immaginando un nuovo periodo in cui magari non sarà bellissima, ma sarà almeno presentabile, questa Sicilia, bisognerebbe partire da un punto. Quello in cui la politica di oggi e di ieri, anche quella che si lava le mani affermando di non avere avuto ruoli di governo o amministrativi, ma che ha certamente una quota parte di responsabilità politiche, lo affermi pubblicamente: “Abbiamo esagerato, abbiamo sbagliato, abbiamo sperperato, messo in ginocchio la Sicilia”. E dall’altro lato, noi tutti, siciliani che questo sistema abbiamo avallato, chi più, chi meno, anche col semplice voto, alimentando le finanziarie bancarella, le stabilizzazioni di massa, le assunzioni facili, noi siciliani che siamo lo specchio di questa politica ammettiamo: “Abbiamo sbagliato anche noi, noi col cappello in mano”.
Solo a quel punto si potrà davvero pensare a una Sicilia diversa. Non oggi. Non al punto in cui siamo. Non al punto in cui il presidente della Regione punta il dito contro la “pesante eredità del passato”, guidando un governo in cui ci sono l’assessore all’Economia di Raffaele Lombardo, l’assessore alla Sanità di Totò Cuffaro, assessori che furono punte di diamante di quelle e altre maggioranze, sottogoverni pieni dei soliti noti, sempre quelli, di allora, anche quelli del passato che tanto pesa oggi sulle spalle della giunta. E non si può parlare di conti in rosso e pensare ancora ai borghi del fascismo e alle fiere dei cavalli. Che si dirà, sono questioni distinte e separate, ma così, si rischia di non essere credibili del tutto. Di non essere convincenti. Di far passare il messaggio che in fondo, la responsabilità è sempre dell’altro, e che questa comunque sia la Regione delle compagnie di giro, delle “aziende politiche”, nelle quali spesso becchi pure gli stessi volti, nonostante cambino le stagioni.
E allo stesso modo poco credibile appare oggi chi ha sostenuto prima il governo Lombardo che fu considerato non distante dal default, e poi anche il governo Crocetta che ha raddoppiato in cinque anni l’indebitamento complessivo di questa Regione. O magari chi sosteneva il governo Cuffaro del caso derivati, immobili e società partecipate; tralasciando il resto.
Ecco quello che ci aspetteremmo. Un mea culpa generazionale, scuse trentennali, uno scatto di onestà intellettuale, oggi che l’acqua in cui navigava questo Titanic è seccata, e tutti i guai sono solo emersi, dopo essere stati per troppo tempo nelle profondità dei nostri bilanci. E servirebbe anche uno scatto dei siciliani, oggi. Quei siciliani, noi compresi, che dovrebbero pretendere di più dalla politica. Ma solo dopo aver preteso un po’ più da se stessi.