Sicilia, Corte costituzionale boccia Variazioni di bilancio - LiveSicilia

Regione, la Consulta boccia le Variazioni di bilancio 2020

"Errori sulle modalità di copertura della spesa". A Palazzo d'Orleans si studiano gli effetti del pronunciamento

PALERMO – Scure della Corte costituzionale sulla Sicilia. Con una sentenza del 4 luglio, le cui motivazioni sono state appena depositate, la Consulta ha infatti dichiarato l’illegittimità di un’intera legge: la numero 33 del 28 dicembre 2020, le Variazioni al bilancio di previsione della Regione. La legge, approvata in piena era Musumeci, si portava dietro nel nome anche le “modifiche di norme in materia di stabilizzazione del personale precario”. Norme che, come ricorda la Consulta, fissarono “molteplici interventi di natura eterogenea”: in altri termini, nuove spese.

Sentenza ai Raggi X

Una mazzata arrivata nella serata di giovedì a Palazzo d’Orleans, non del tutto a sorpresa (la vicenda è annosa e complessa perché molto tecnica e dunque oggetto di contrapposte interpretazioni) e che sta costringendo i vertici della Regione a studiare a fondo la sentenza per verificarne le conseguenze immediate. Ed è per questo che nessuno, in un primo momento, si era sbilanciato in commenti a caldo. Nel pomeriggio, invece, la nota del governatore Renato Schifani e dell’assessore all’Economia Marco Falcone che tranquillizzano: “Nessuna conseguenza”.

Il nodo delle coperture

L’impugnativa decisa dall’allora governo Draghi ruotava attorno alla presunta violazione dell’articolo 81 della Costituzione. È quella parte del dettato costituzionale che sancisce il principio dell’annualità del bilancio e che introduce l’obbligo di copertura per ogni legge di spesa. Le norme approvate dall’Ars liberarono 421 milioni di euro coprendo le spese con il differimento della quota 2020 di recupero del disavanzo della Regione. Tutto questo facendo affidamento su un accordo con lo Stato che, però, sarebbe arrivato soltanto nel gennaio 2021 e che comunque si concretizzò “in modo diverso – ricordano i giudici della Consulta con la sentenza numero 165 di quest’anno – da quello prefigurato dalla Regione”. La procedura che portò a quella mossa, secondo la tesi di Palazzo Chigi sposata in pieno dalla Corte costituzionale, non fu legittima perché basata su un accordo, di fatto, non ancora esistente. “Tale previsione, proprio per il suo carattere aleatorio, non poteva costituire la base di una valida e certa copertura della spesa”, sentenziano i giudici.

La copertura finanziaria prevista per quei 421 milioni, quindi, viene considerata “non idonea” perché al momento dell’approvazione delle Variazioni di bilancio l’accordo vigente Stato-Regione prevedeva ancora la rata 2020 per il rientro dal disavanzo. Leso, in definitiva, il principio secondo il quale “la copertura finanziaria delle spese deve essere certa ed attuale e tradotta in un formale impegno di spesa sul relativo stanziamento”. La Regione, davanti alla Corte, ha ricordato di essere corsa ai ripari già con il ddl Esercizio provvisorio per l’esercizio finanziario 2021. I tagli e le variazioni agli stanziamenti del bilancio 2020, però, non soddisfano l’Avvocatura dello Stato. Sono avvenuti, infatti, “ad esercizio finanziario 2020 ormai concluso” e quindi in contrasto “con il principio dell’annualità del bilancio”.

La “clausola di salvaguardia” che non salva

Non passa l’esame della Consulta neanche la cosiddetta “clausola di salvaguardia”, prevista all’articolo 3 della legge impugnata. Una scialuppa da calare in acqua nel caso in cui l’accordo Stato-Regione sulla spalmatura del disavanzo non fosse andato a buon fine. La copertura ‘alternativa’ di quei 421 milioni, infatti, venne individuata così nelle risorse non utilizzate del fondo istituito da Roma per aiutare le Regioni a fronteggiare l’emergenza Covid. Quelle somme, però, “non sarebbero sufficienti a coprire tutti gli oneri” provenienti dalla legge impugnata, ma questa non è l’unica anomalia riscontrata. La Consulta, infatti, ricorda che quei fondi “rappresentano una misura straordinaria, finalizzata a ripristinare l’equilibrio dei bilanci degli enti territoriali che nel periodo della pandemia si erano visti diminuire le entrate fiscali a causa del blocco delle attività”: proprio in ragione di questo, quelle risorse “non possono essere impiegate per sostenere oneri ulteriori e diversi, che finiscono per ampliare la spesa corrente e incrementare il disavanzo”.

Il giudizio sulla gestione contabile

Ma la sentenza affonda ancor di più il coltello nella piaga. La tenuta dei conti, dice infatti la Corte, “deve rispettare la sequenza temporale degli adempimenti legislativi e amministrativi”. In pratica, prima di pensare a quanto spendere, bisogna sapere di quanti soldi si ha reale disponibilità. Questo perché ogni mossa sbagliata potrebbe riversarsi a cascata su tutti gli esercizi successivi. La legge regionale incriminata ha previsto una pluralità di interventi e misure, come l’ampliamento della platea dei precari da stabilizzare, “senza una adeguata programmazione e una idonea copertura finanziaria nell’esercizio di riferimento – continuano i giudici – disattendendo con particolare gravità il valore del ciclo di bilancio che assume rilievo come bene pubblico, ovvero come insieme di documenti capaci di informare con correttezza e trasparenza il cittadino sulle obiettive possibilità di realizzazione dei programmi e sull’effettivo mantenimento degli impegni elettorali”.


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