Sia detto senza onta né indulgenza: Nello Musumeci è un un presidente contromano. Per dato politico, caratteriale e – verrebbe da dire – scenografico. Essere il salmone metaforico che risale la corrente ha un pregio: puoi piacere al gusto immediato di chi passa e osserva nell’esaltazione che non ama la consuetudine. E un difetto: alla fine, puoi restare solo nel novero di quelli che fanno il tuo stesso mestiere e si occupano di strategie che non combaciano con la tua. E non è scritto che tu abbia per forza ragione.
Una tendenza che proviene, per storia e inclinazione, da una radicata tradizione di ribellisti. Attenzione, però: Musumeci non è un fascista, ma un democratico di destra. Ridurlo a una macchietta del passato, un residuo atterrato quaggiù con una macchina del tempo, significa offuscare la visione del personaggio, con un luogo comune, nel bene e nel male. Perché questo essere contromano ha prodotto sia il bene che il male.
Nella gestione di una pandemia, anticipando, talvolta, e costruendo una corretta linea del rigore e di protezione. Nel quotidiano della politica, non riuscendo a imporre una prospettiva di autentico rinnovamento e non solo perché gli altri sarebbero ‘cattivi’, secondo reiterata denuncia. Ma perché lo stesso governatore è un personaggio che si muove, volente o nolente, sulla ribalta di quel mondo che galleggia sugli accordicchi – non è un insulto, ma il canovaccio supremo – e che considera inappropriato ogni evento che vada contro i legittimi interessi personali. Qui il contromanismo ha creato equivoci e disarmonia, senza il premio della palingenesi.
Sul Covid, i pareri sono difformi e la diversità di vedute è data, in soverchiante misura, dall’appartenenza. A sinistra, il governatore viene dipinto come un pasticcione, incapace di contenere contagi e ricoveri, mentre in certa opinione pubblica, non soltanto di destra, lo stesso è quasi elevato all’onore degli altari di una laica santificazione come colui che ci ha evitato guai peggiori.
A un giudizio più sereno sembra di poter dire quanto segue. La gestione del governo Musumeci – al netto delle ombre e degli inciampi che pure ci sono – si è mossa sul fondamento opportuno di una cautela da formiche, mentre intorno frinivano le cicale del ‘liberi tutti’.
Con ordinanze, tra controlli e provvedimenti ‘contromano’, la Sicilia ha tentato di porre un argine, anche con la predicazione presidenziale della necessità dell’obbligo vaccinale. Le ultime e abbondanti colorazioni dei comuni, da giallo ad arancione, dimostrano l’assunto. E c’è un fatto da annotare: la nomina del dottore Renato Costa, un uomo dichiaratamente di sinistra (anzi, comunista, come si definisce l’interessato) alla guida della struttura commissariale di Palermo con risultati che hanno dato ragione alla scelta. Quanti governi di sinistra avrebbero indicato un uomo dichiaratamente di destra per un incarico del genere?
Ma il problema sta tutto nella politica: ecco il ‘contromano‘ che trasforma il bene dello straordinario nel male dell’ordinario. Filtrata con lo sguardo della normalità la giunta Musumeci è uno dei tanti governi regionali che ‘campicchiano’ su accordi, malumori e compromessi di antico conio e rinnovabile rito. Il ripetuto richiamo a una superiore etica del servizio, che investirebbe ben altre raffigurazioni più o meno simboliche, rappresenta uno stratagemma dialettico, non coordinato con la realtà. La ribellione rivendicata all’andazzo si riassume in strappi e in metaforiche sfide a multipla tenzone, con toni discutibili, che, subito dopo il guanto lanciato, si accomodano nell’alveo del sempiterno ‘pigliamoci il caffè’. Un cucchiaino a te e uno a me.
Se n’è avuta una conferma nella scena dell’azzeramento ipotetico di una giunta, nel teatro di una crisi proclamata, non consumata. Riassunto degli atti precedenti. Musumeci che prende meno voti del previsto tra i ‘grandi elettori’ che, a loro volta, eleggeranno il Presidente della Repubblica. Musumeci che si vocifera a un passo dalle dimissioni. Musumeci che si presenta, sui social, con un intervento di cappa e spada, sentenziando: “Azzero la giunta”. E tutto si stempera con la dilazione, con i ‘si vedrà’, con la ritardata previsione di una sciabolata data per imminente dallo stesso sciabolatore. Forse il mostrarsi contromano esige la sua stessa abiura, almeno nei luoghi del potere. Sempre la risalita della corrente è l’essenza agrodolce della solitudine.