Separazione delle carriere, la polemica e il giudizio

Spieghiamo la separazione delle carriere: pericolo o progresso?

Una riflessione pacata sulla polemica del momento

Separazione delle carriere: un pericolo per la democrazia o un avanzamento? Necessaria o distrattiva, che distrae, cioè, dai problemi reali della giustizia italiana? È possibile tentare un approccio pacato e ragionato? Proviamoci.

Con l’approvazione definitiva del Senato la riforma costituzionale sulla separazione delle carriere dei magistrati segna, comunque la si pensi, un traguardo per il sistema giudiziario italiano. Ora si attende il referendum confermativo popolare, previsto per la primavera 2026, reso obbligatorio dal mancato raggiungimento dei due terzi in ciascuna Camera.

È evidente, inutile girarci intorno, che entrambi gli schieramenti – maggioranza e opposizione – daranno al voto referendario una forte impronta politica trasformandolo in una sorta di giudizio sul governo di Giorgia Meloni. Tanto più che la consultazione sarà valida indipendentemente dal quorum.

Le posizioni sono nette ma non compatte: ci sono sostenitori del SI tra i banchi delle opposizioni e del NO nella maggioranza, con conseguenti fibrillazioni e polemiche interne. Ciò, in breve, il clima nei palazzi del potere. Nel merito, limitandoci ovviamente a una sintesi circa la revisione del Titolo IV della Parte II della Costituzione (La Magistratura), resta da capire perché il conflitto tra governo e magistrati (si veda la forte contrarietà dell’Associazione Nazionale Magistrati) sia stato e sia così aspro.

Probabilmente, il fatto che sia questa destra, obiettivamente quasi ossessionata dal convincimento che esista una magistratura nemica, a intestarsi una rivoluzione così significativa condiziona il giudizio sull’effettiva natura delle modifiche costituzionali apportate.

D’altro canto, è mancato il necessario confronto preliminare, che doveva essere promosso dal governo, alimentando quel sospetto di diffidenza dell’Esecutivo almeno verso una parte della magistratura.

In concreto, la riforma separa definitivamente le carriere di pubblici ministeri e giudici fin dall’assunzione, completando il passaggio dal processo inquisitorio (l’aggettivo poco rassicurante già rivela molto) a quello accusatorio (presunzione d’innocenza, distinzione tra giudice e accusa e parità tra pubblico ministero e difesa, oralità con formazione della prova in dibattimento) avvenuto nel 1989.

Nascono due Consigli Superiori della Magistratura – uno per i PM, uno per i giudici – entrambi presieduti dal Presidente della Repubblica; i membri laici e togati saranno sorteggiati per ridurre, nel caso dei togati, l’influenza delle correnti su nomine, assegnazioni e promozioni. È prevista anche un’Alta Corte disciplinare.

Un nodo abbastanza delicato, da sciogliere in sede attuativa, è il sorteggio dei togati: non può riguardare l’intera platea dei magistrati, inclusi i neoassunti. Serve una preselezione rigorosa basata su esperienza, capacità organizzative e competenze. In proposito, valutata l’osservazione assai pertinente, il ministro della Giustizia Carlo Nordio si è detto disponibile a discuterne.

Va chiarito, al di là degli orientamenti politici o di categoria, che la riforma in questione, in un sistema di separazione dei poteri, non intacca minimamente l’indipendenza e l’autonomia dei magistrati, inclusi i PM, e l’obbligatorietà dell’azione penale. Sono principi cardine in una democrazia degna di tal nome, non dettagli.

Si può ipotizzare, qualcuno lo ha fatto, che questa sia solo la prima tappa verso una dipendenza degli uffici del procuratore dal governo ma allo stato degli atti si tratterebbe soltanto, appunto, di ipotesi.

Resta, invece, centrale la domanda: la separazione delle carriere risolverà i guai della giustizia italiana? La risposta è sicuramente no. Serve ben altro: semplificazione e accelerazione dei processi civili e penali;
abbattimento dell’arretrato (per cui l’Italia è stata condannata dalla Corte EDU); potenziamento di risorse umane (magistrati, cancellieri, personale ausiliare e tecnico); digitalizzazione e transizione tecnologica.
In conclusione, la separazione delle carriere, in qualche modo coperta dalla vigente separazione delle funzioni giudicanti e requirenti con criteri stringenti, introdotta nel 2006, certamente non rappresentava una priorità.

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