Capaci, ergastolo per 2 boss | Condanna a 12 anni per Spatuzza

Capaci, ergastolo per 2 boss | Condanna a 12 anni per Spatuzza

L'esito del processo celebrato col rito abbreviato.

 

la decisione del gup di caltanissetta
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PALERMO – Due ergastoli, una condanna a 30 anni e l’ennesimo riconoscimento della attendibilità del pentito Gaspare Spatuzza, ex fedelissimo del clan Graviano che ha consentito agli inquirenti di aggiungere molti tasselli alla complicata ricostruzione della verità sulle stragi di Capaci e Via D’Amelio. Dovranno scontare il carcere a vita i boss Giuseppe Barranca e Cristoforo Cannella. La prescrizione di uno dei reati che gli erano stati contestati ha evitato, invece, il fine pena mai al pescatore Cosimo D’Amato che dovrà scontare 30 anni. Per tutti l’accusa era di strage. Dodici anni sono stati inflitti al collaboratore di giustizia al quale è stata concessa l’attenuante speciale proprio per l’importante contributo dato all’inchiesta. Secondo Spatuzza, gli imputati avrebbero partecipato alla fase preparatoria dell’eccidio costato la vita al giudice Giovanni Falcone, alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta.

La sentenza è stata emessa in mattinata, al termine di una breve camera di consiglio, dal gup di Caltanissetta David Salvucci che non ha assegnato alcuna provvisionale alle tante parti civili costituite rinviando al giudice civile la liquidazione dei danni. Associazioni antimafia, ma anche familiari delle vittime. L’ultimo velo sulla preparazione dell’attentato che uccise Giovanni Falcone è stato squarciato due anni fa. E alla luce sono venute le responsabilità dei killer della cosca di Brancaccio, per 20 anni rimasti impuniti. Le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza ne hanno svelato il ruolo: occultato da un clamoroso depistaggio nell’inchiesta sull’assassinio del giudice Paolo Borsellino, semplicemente ignorati nell’indagine sulla morte di Falcone. Vennero arrestati gli esponenti del clan che presero parte alle operazioni di recupero in mare e alla lavorazione del tritolo usato per l’eccidio. E si scoprì il ruolo del capomafia Salvuccio Madonia, boss di Resuttana che partecipo’ alle riunioni durante le quali Cosa nostra delibero’ il programma stragista e l’uccisione di Falcone.

Il tritolo usato per fare saltare in aria l’autostrada, il 23 maggio del 1992, veniva da quattro bombe ripescate nel mare di Porticello e nella zona della Cala, a Palermo. A recuperarlo dall’acqua fu il pescatore Cosimo D’Amato. Gli uomini della cosca di Brancaccio – tra cui Giuseppe Barranca e Fifetto Cannella – lo trasportarono, lo polverizzarono e lo custodirono. A Spatuzza il compito di consegnarlo a Graviano. Insieme all’esplosivo procurato dal boss Giovanni Brusca venne infilato in un condotto dell’autostrada e impiegato per l’esplosione. Ma se sulla fase deliberativa e sulla preparazione dell’attentato i dubbi sembrano risolti, restano le ombre sulla svolta terroristica che Totò Riina, a un certo punto, impresse all’azione di Cosa nostra. “Nella strage di Capaci non ci furono mandati esterni – disse il procuratore di Palermo Sergio Lari dopo gli arresti – Nel senso che la mafia non prese ordini da alcuno. Altro discorso sono le possibili alleanze con soggetti esterni”. Parole che lasciarono intravedere una sorta di possibile convergenza di interessi tutta da approfondire. (ANSA).


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