PALERMO – Sono stati convocati per domani. Il giorno prima del trentunesimo anniversario della strage di via D’Amelio, quattro poliziotti saranno interrogati dai magistrati della Procura di Caltanissetta. Secondo l’accusa, gli agenti avrebbero mentito durante il processo sul cosiddetto “depistaggio Borsellino”. Prima ancora di entrare nel merito c’è una evidente anomalia. Ed è il tempo trascorso prima dell’atto istruttorio che riguarda Maurizio Zerilli, Angelo Tedesco, Giuseppe Di Gangi e Vincenzo Maniscaldi. I poliziotti facevano parte del gruppo investigativo sull’eccidio. I pubblici ministeri ipotizzano che, chiamati a testimoniare, non abbiano detto la verità.
Quale verità? Ed ecco il cuore della questione. Per decenni ci si è fatti condurre per mano dai pentiti farloccchi. Su tutti, Vincenzo Scarantino, un malacarne di borgata che per qualcuno aveva davvero partecipato alla riunione in cui fu deliberata la strage. Altri collaboratori di giustizia, veri capimafia considerati attendibili, lo schernivano. Meno distratti dei colleghi di allora sono stati i magistrati in servizio a Caltanissetta che sono ripartiti dalle macerie delle sentenze divenute carta straccia.
Qualcuno ci ha provato anche in tempi recenti. Il pentito Maurizio Avola si è svegliato dal torpore per raccontare la sua verità. Mente, dicono i pm che lo hanno incriminato per calunnia e hanno chiesto l’archiviazione dell’inchiesta nata dalle sue dichiarazioni. Ha detto di essere stato in via D’Amelio il giorno della strage. Era vestito da poliziotto. Il superstite della strage, Antonino Vullo, lo smentisce.
Avola ha detto di avere imbottito di tritolo la Fiat 127 usata per l’attentato, ma ha condotto gli investigatori in un garage dall’altra parte della città rispetto al vero luogo dove avvenne quella fase delicata. Ha aggiunto di avere fatto un sopralluogo a Palermo il 17 luglio, ma si è scoperto che quel giorno era stato fermato ad un posto di blocco a Catania. Ha spiegato di avere armeggiato con il tritolo, ma in realtà non poteva perché aveva il braccio fratturato e ingessato. Era un gesso falso, si è difeso. Altra bugia, smentita dal referto dell’ospedale Cannizzaro. Avola è riuscito nell’impresa di rendere “persona offesa” delle sue calunnie il boss Aldo Ecolano, con cui disse di avere fatto il sopralluogo a Palermo.
La scorsa estate il tribunale di Caltanissetta ha dichiarato prescritte le accuse contestate a Mario Bo e Fabrizio Mattei, due dei tre poliziotti accusati di avere depistato le indagini. Assolto il terzo imputato, Michele Ribaudo. Erano imputati di calunnia aggravata dall’avere favorito la mafia. Il venire meno dell’aggravante aveva determinato la prescrizione del reato. Il procuratore di Caltanissetta Salvatore De Luca e il sostituto Maurizio Bonaccorso hanno fatto ricorso in appello. Restano convinti che i poliziotti parteciparono al “disegno criminale” che ha coperto “i mandanti esterni della strage”.
I buchi neri ci sono. Come quello che ha inghiottito l’agenda rossa del magistrato. Il movente della “sottrazione di un reperto così importante – hanno scritto i pm nei motivi di appello – da parte di soggetti che per funzioni svolte erano legittimati ad intervenire e operare sul luogo della strage e quindi esterni alla consorteria mafiosa, non può essere altro che quello di sviare le indagini, nel senso di impedire che le investigazioni potessero fuoriuscire dal perimetro delimitato dalla matrice esclusivamente mafiosa dell’attentato di via D’Amelio”.
Trentuno anni dopo la strage, alla vigilia di un nuovo giro di interrogatori, resta in piedi la domanda di sempre: quale verità abbiamo raggiunto in memoria delle vittime e dei parenti di Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli? Per anni si è seguita una narrazione, infine andata in frantumi. Si è postulato che la strage subì un’accelerazione perché Borsellino si era opposto alla trattativa Stato-mafia, che non è stata accertata giudiziariamente. Per raggiungere la verità servono prove, non dogmi come quello della Trattativa. Ed ora si torna a parlare dell’interesse di Borsellino per il rapporto mafia-appalti. Con colpevole ritardo, ancora una volta, si scandaglia una ipotesi plausibile.