CATANIA – Tutela del mare e ricerca archeologica: il Progetto Akis, presentato in primavera, è iniziato. E il campo-scuola archeosubacqueo, in corso dal 2 al 17 Settembre, si è avvalso nei primi giorni di una collaborazione particolare. I sommozzatori del III Nucleo del Reparto Supporto Navale della Guardia Costiera di Messina sono infatti intervenuti per mostrare agli allievi mezzi e procedure specifiche, mantenendo come ferma prerogativa la salvaguardia della vita umana in mare. Centrale è stato l’impiego di un ROV, il robot subacqueo filoguidato. Con questo si è potuto perlustrare il fondale compreso tra le zone A e B dell’Area Marina Protetta di Acitrezza, incontrando tracce di epoche diverse. Fino, purtroppo, ad alcune tra le meno civili del presente.
“I sommozzatori della Guardia Costiera sono abilitati a scavi e recuperi archeologici, in sinergia con la Soprintendenza del Mare, cui spetta la tutela.”, ci ha detto il personale del nucleo sub. Nel 2008 questa sinergia si è rivelata determinante al ritrovamento di un rostro romano nelle acque messinesi, come nel 2011 durante il recupero di 3500 monete puniche sui fondali di Pantelleria. Da non tralasciare, sul versante catanese, l’impegno di un anno fa sul relitto risalente al II secolo a. C, le cui vicende sono ancora da approfondire.
In questa, come in altre occasioni, i sommozzatori hanno svolto un ruolo culturale e di assistenza agli allievi del campo scuola archeologico: “Si tratta di scenari reali e operativi: immersioni di lavoro regolate da tempi e procedure rigorose, durante le quali ci si avvale di attrezzature potenzialmente pericolose”, hanno chiarito i sommozzatori militari. “Sui siti archeologici svolgiamo principalmente controlli, segnalazioni e cooperazione con gli enti competenti: resta comunque difficile imbattersi nei ladri di reperti in azione, considerata anche la vastità delle aree interessate in tutto il Mediterraneo”, ci ha detto il Capo Nucleo tenente di vascello Simeone.
L’asportazione di resti archeologici richiederebbe in effetti competenze specifiche anche solo per rimuovere gli oggetti: non è raro che lo stesso decrescere della profondità ne provochi la distruzione. Il ROV colpisce immediatamente per il colore brillante e l’aspetto da minisommergibile; un cavo, affidato alle mani degli operatori, lo vincola alla superficie fino ad un computer. La prima immersione ha portato quest’occhio elettronico nelle vicinanze di un’antica ancora. Qui l’archeologo Francesco Carrera , direttore tecnico del progetto Akis, ha potuto effettuare rilevamenti sul reperto che presenta una caratteristica particolare: “Il ceppo ligneo dell’ancora è relativamente intatto: una rarità nel bacino mediterraneo. Occorrerà un intervento conservativo sul sito”, ci ha spiegato Carrera.
A fine XVII secolo risalirebbe il reperto, la cui presenza richiama un evento bellico che coinvolse la Sicilia orientale durante la dominazione spagnola. Poco distante è stato individuato un fusto d’ancora più piccolo: la datazione sarebbe simile. Una successiva mattinata di ricerca ha poi interessato le acque attorno all’isola Lachea.
Non ci si è immersi, osservando invece le riprese sul monitor esterno: per chi è abituato a percepire il fondo marino coi propri sensi, l’esperienza risulta molto particolare. Il ROV s’immerge, sfiora quasi il fondo sabbioso e scivola lungo il fondale. Tra le mani degli allievi, assistiti dai militari, scorre il cavo di collegamento; intanto gli occhi corrono alla telecamera del robot che procede in mezzo a piccoli scogli. Si cercano reperti, ma nell’immediato appaiono tracce più recenti: copertoni e poi due reti a strascico, abbandonate in piena Area Marina Protetta. Poco oltre, il mezzo svela quello che appare un ennesimo ceppo d’ancora: intorno sembrano addensarsi alcuni cocci.
Nelle acque dei Ciclopi, insomma, la ricerca è aperta e lo rimarrà a lungo. Ma oltre ai mezzi sempre più idonei e sofisticati, è un mutamento di logica che sembra premere a quest’ultima generazione di archeologi. “I reperti sono pietre miliari per l’identità di tutti”, afferma a tale proposito il dottor Carrera. “I cittadini possono essere responsabili del territorio, tenerlo d’occhio e aggiungere ulteriori informazioni. E’ un sistema che funziona da diverso tempo in varie parti d’Italia: in Liguria, a Venezia e in Campania nel parco archeologico di Baia, gestito proprio da un centro immersioni”.
I diving potranno avere un ruolo chiave in questa operazione culturale: la creazione di percorsi subacquei potrà infatti essere ulteriore incentivo alla conoscenza dei luoghi. Uno esiste già da alcuni anni, a Capomulini: studiato espressamente per minorati della vista, sembrerebbe richiedere qualche attenzione in più. Le condizioni per una svolta sembrano esistere; e ad oggi i primi allievi del Progetto Akis –tutti provenienti dagli studi archeologici- hanno quasi ultimato la seconda settimana del corso intensivo.