Messina Denaro, i summit, le lettere | "L'attentato a Di Matteo si deve fare" - Live Sicilia

Messina Denaro, i summit, le lettere | “L’attentato a Di Matteo si deve fare”

Vito Galatolo, boss dell'Acquasanta e aspirante pentito, racconta che il latitante voleva la morte del magistrato di Palermo. E spedì due lettere, forse obbedendo ad ordini superiori ed esterni a Cosa nostra. Spunta l'ipotesi che qualcuno si sia spacciato per il padrino di Castelvetrano per convincere quattro boss palermitani a riaprire la stagione delle stragi.

PALERMO – Girolamo Biondino tirò fuori una lettera. Era scritta di pugno da Matteo Messina Denaro e ordinava di uccidere Antonino Di Matteo. Perché “si deve fare”, scriveva il latitante, come se Cosa nostra stesse obbedendo ad ordini superiori. Come se persino un capomafia come lui dovesse rispondere signorsì. Ecco perché Vito Galatolo, il boss dell’Acquasanta che ha svelato i piani di morte contro il pubblico ministero di Palermo, si è detto certo che fossero e sono soggetti esterni a Cosa nostra a volere dichiarare guerra allo Stato. Proprio come avvenne nella stagione stragista del ’92.

Al summit, racconta Galatolo, erano presenti – oltre a lui e Biondino – Vincenzo Graziano e Alessandro D’Ambrogio. I boss non erano d’accordo, convinti che un attentato così eclatante non convenisse innanzitutto a Cosa nostra. C’era, però, quell’ordine: “Si deve fare”.

Non è tutto: gli stessi boss, riferisce l’aspirante neo collaboratore di giustizia, si sarebbero incontrati in un secondo summit. Quella volta sul piatto c’era la faccenda del denaro, dei seicento mila euro da raccogliere per comprare il tritolo.

Biondino si presentò al secondo appuntamento, di nuovo, con una lettera di Messina Denaro. Era scritta a stampatello, proprio come una delle missive recapitate negli ultimi mesi per minacciare il pubblico ministero Di Matteo. E qui si innesta quello che finora è solo un pensiero sussurrato dagli investigatori, ma che potrebbe diventare una pista investigativa. Qualcuno potrebbe essersi spacciato per Matteo Messina Denaro con l’obiettivo di alzare il livello della tensione sapendo che solo un ordine dell’ultimo dei padrini latitanti avrebbe potuto convincere i boss palermitani ad organizzare l’attentato pur non condividendo la scelta.

O meglio, i boss di una parte di Palermo. Biondino è di San Lorenzo, Graziano di Resuttana, Galatolo dell’Acquasanta e D’Ambrogio di Porta Nuova. Dal progetto di attentato sarebbero, dunque, rimasti fuori altri potenti mandamenti mafiosi della città, a cominciare da Brancaccio? Ecco perché non viene escluso che anche nel feudo dei fratelli Graviano si sia svolto un summit analogo a quelli a cui avrebbe partecipato Galatolo.

Fin qui l’attentato e i misteri che ruotano attorno ad esso. Ma la collaborazione di Galatolo sta entrando nel vivo anche di altri argomenti. A cominciare dagli innumerevoli investimenti di una delle più ricche e potenti famiglie mafiose palermitane. Nulla trapela degli interrogatori resi davanti ai pm Dario Scaletta, Amelia Luise e Annamaria Picozzi, se non il fatto che almeno a giudicare dalle battute iniziali Galatolo sembri davvero pronto ad aprirsi. Circostanza che darebbe forza e credibilità al racconto sull’attentato, riferito per il timore di doversi accollare i rischi giudiziari per il progetto di morte che qualcun altro avrebbe potuto portare a termine.

 


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