PALERMO – Scene di vita. Vita da mafiosi, ripresa dal Grande fratello delle forze dell’ordine. Boss e picciotti si muovono per le strade della città. Organizzano summit, discutono di affari sporchi, inviano spedizioni punitive, bussano alla porta degli imprenditori per imporre il pizzo. Fanno tutto questo alla luce del sole, in mezzo alla gente.
Si accorgono pure di essere spiati, ma continuano le loro strategie. Le valanghe di arresti dovrebbero insegnare loro che alle inchieste non si sfugge. I mezzi a disposizione degli investigatori sono sempre più sofisticati e le capacità di chi indaga ormai tali da superare le difficoltà logistiche. Nonostante tutto boss e picciotti vanno avanti. Probabilmente perché non hanno altra scelta. Il racket e – ormai è un dato consolidato – il ritorno ai traffici di droga sono necessari per pagare gli stipendi, mantenere le famiglie dei detenuti e controllare il territorio.
Si muovono per le strade, sono in mezzo a noi, frequentano i locali della gente comune. Gente che per lo più resta silente, ma il muro di omertà si va rompendo, come dimostrano le denunce degli imprenditori. Spesso si ribellano al racket solo perché costretti dall’evidenza delle indagini. Messi con le spalle al muro ammettono di essere stati vessati dagli uomini del pizzo. Ma ci sono pure casi di denunce spontanee che, però, restano poche rispetto alla capillarità del racket. Si paga meno di una volta, ma si paga sempre. Il grande fratello degli investigatori consente anche di svelare i retroscena di fatti di cronaca che altrimenti resterebbero nel limbo degli episodi indecifrabili. Storie di ordinaria violenza, figlie dello stesso clima in cui i mafiosi sguazzano.
Picchiato il fratello del pentito. Il pomeriggio del 30 marzo 2015 giungeva una telefonata alla sala operativa della polizia. Francesco Paolo Morsicato, fratello per pentito bagherese Benito, chiedeva aiuto. Era stato appena picchiato sotto casa, in via Francesco Bacone. Calci e pugni al volto e al corpo. Mentre tentava la fuga era riuscito a comporre il 113. I carabinieri hanno analizzato i tabulati telefonici e i sospetti sono caduti su Giovanni e Agostino Tripoli, padre e figlio. Era stato il primo, in quel pomeriggio di marzo, a chiamare al telefono la moglie di Morsicato: “Pronto c’è… u muzzicato… senti io sono Giovanni, fallo scendere”. In un’altra telefonata la moglie di Giovanni Tripoli implorava il marito: “… vedi che hanno chiamato i carabinieri… non vi avvicinate in quella zona che stanno arrivando i carabinieri… fai sparire tuo figlio… ti prego… ti prego stai attento ad Agostino”.
Continua a leggere il servizio in edicola sul mensile “S” (clicca qui per acquistare la copia digitale): tutte le foto degli investigatori e le intercettazioni.