Torna Francesco Giunta, | voce della Palermo che fu - Live Sicilia

Torna Francesco Giunta, | voce della Palermo che fu

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Francesco Giunta è un uomo che ha scoperto la differenza tra la luce e l’energia elettrica. La seconda è un gioco artificiale di fili, mani, interruttori e tecnica. La prima è un dono della grazia, un bisogno intimo che si traduce in uno sfarfallio sulle corde di una chitarra e della voce. E non sai mai perché.  Non a caso, l’artista palermitano lasciò in tempi assai lontani un posto sicuro all’Enel per dedicarsi all’altro lavoro – al mestiere difficile, per pane e companatico, del cantautore  – venuto su in serate conviviali di emozioni, di gocce che levigano e scavano in profondità. Fu, probabilmente, un corollario del teorema inziale, il transito da una dimensione grigia e garantita dell’esistere a una traversata da carovanieri nella nebbia dell’incerto domani. E’ che, dopo l’avventura di una scoperta, tutto ciò che credevi di sapere viene scosso e abbattuto da una cascata di sensi nuovi.  E se incontri l’autentica luminosità, poi diventa difficile accontentarsi dell’interruttore, della foschia di una lampadina, della dinamica che accende o spegne, con l’obbligo di un gesto normale. Meglio seguire il prodigio della grazia e dei suoi imperscrutabili sentieri scoscesi.

Dopo un successo iniziale di critica, dopo anni di silenzio, Francesco Giunta torna sulla scena con piglio da Ulisse mai veramente salpato da Itaca. In autunno, forse il suo album più bello – “Li varchi a mari” – sarà ripubblicato con un’orchestra di sottofondo. Noi abbiamo incontrato Ulisse al tavolino di un bar per farci raccontare qualcosa di Palermo e delle sue macerie, ormai simili al dolore di una città che brucia, alla fine di un lungo assedio.

Francesco Giunta, Palermo non ama i suoi poeti. I defunti, come Giuni Russo, conoscono l’insulto dell’oblio. I viventi non hanno più fortuna.
“Qui è tutto precario. Si lotta sul filo della sopravvivenza. Gli artisti palermitani arrivano dal disagio, dalla fame. Il nostro teatro popolare ha il marchio della disperazione. Io avevo un impiego e ho una vita tranquilla. Mi sento un po’ un alienato”.

Lei come è sbarcato alla chitarra e alle canzoni?
“Da ragazzino, l’inizio come tutti. Da grande, le serate. Portavo avanti una doppia vita. Di giorno tecnico all’Enel, di notte gli spettacoli. Nel ’95 non ce l’ho fatta più. Ho mollato l’impiego, con relativo stipendio ogni 27 del mese”.

Una follia?
“Una situazione che mi ha cambiato la vita. L’ha resa meno stabile, però più densa, più intensa”.

Parlavamo di cultura, a Palermo.
“La politica culturale qui è inesistente. Si premia l’appartenenza. Domina il legame”.

Non darà pure lei la colpa al sindaco Cammarata?
“I vizi risalgono a epoche antecedenti. La Primavera di Palermo non ha seminato nulla. E’ appassita nei salotti. E lì si è fermata: un argomento di dibattito per l’aristocrazia”.

E vale l’appartenenza.
“Ovviamente, c’è un mercato drogato dalle elemosine su cui non si costruisce un progetto. Si distribuiscono finanziamenti e risorse per sfamare qualcuno. Appresso, c’è l’abisso”.

Lei ha provato con la discografia
“Siccome non c’era nessuno, non potevo limitarmi alla dimensione artistica del lavoro. Ho cercato di tessere un discorso collettivo, di valorizzazione delle voci e delle tradizioni siciliane. Non è che abbia gettato la spugna. Ma per anni mi sono concentrato sul ruolo di papà. Ora riprovo”.

Con l’aiuto di un esperto del settore.
“Sì, di Alfredo Lo Faro, un produttore sensibile. In autunno “Li varchi a mare” rinascerà con un arrangiamento per l’orchestra. Pensiamo a un lancio su vasta scala”.

Francesco Giunta, la voce della Palermo che fu, con la sua nostalgia del “Panaru fori uso”.
“Non è che io rimpianga il panaro. Mi manca quella dimensione di rapporto, di vicinanza. Mi manca il respiro di un mondo più rallentato, più a misura d’uomo”.

Palermo non ricorda se stessa. Non rammenta i suoi luoghi. Non sa decifrare i nomi, le parole che le appartengono.
“Siamo più poveri. Di lingua e di memoria. Abbiamo subito un’amputazione. Viviamo in posti virtuali, che non stanno da nessuna parte”.

Lei ha scritto “Quannu è guerra è guerra pi tutti”. Siamo ancora sul campo di battaglia?
“Sì, in una modalità più sotterranea e assente. Però i morti per strada si vedono”.

Lei ha scritto “Io c’haiu a tia”, struggente ninna nanna dedicata a sua figlia Greta. Le consiglierebbe di lasciare Palermo, di andare via senza voltarsi indietro?
“Io non me ne sono andato. Non si abbandona qualcuno che ha bisogno di te, se lo ami. Vale per tutto. Vale anche per Palermo”.


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