Traffico di cocaina a Catania |Tutti i nomi e le richieste di pena - Live Sicilia

Traffico di cocaina a Catania |Tutti i nomi e le richieste di pena

La Procura ha chiesto al Gup condanne per 136 anni di carcere. Il processo, scaturito dall'operazione Bisonte 2, vede alla sbarra tra trafficanti di cocaina, esponenti del Clan Cappello e corrieri della droga napoletani,  anche l'imprenditore catanese, Giuseppe Bosco, figlio del re del catering.  TUTTI I NOMI E LE RICHIESTE DI PENA

IL RITO ABBREVIATO
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CATANIA – Quando Domenico Querulo è diventato collaboratore di giustizia, l’imprenditore Giuseppe Bosco, chiuso nella sua cella, molto probabilmente si sarà sentito “spacciato”. Il trafficante di cocaina, infatti, finito in manette insieme al fratello Santo nell’inchiesta Bisonte 2 della Dda di Catania decise di “vuotare” il sacco con la magistratura. E le pagine di verbali sono state inserite nel fascicolo di conclusione indagini che ha portato alla richiesta di rinvio a giudizio. Giuseppe Bosco, figlio del re del catering, sarebbe stato – secondo le ricostruzioni dell’accusa sarebbe stato il finanziatore per l’acquisto di partite di cocaina dai corrieri campani. I soldi della famiglia Bosco servivano per ricucire i rapporti con i napoletani, messi a rischio dagli arresti e dai sequestri operati dalla Squadra Mobile che avevano messo in gattabuia i vertici dei Caratteddi, Antonio Aurichella e Gaetano D’Aquino, e avevano intercettato un carico di 30 chili di stupefacente marchiato con il bisonte della Toyota causando perdite di milioni di euro.

I Querulo, indipendenti dal Clan Cappello,  riprendono i contatti con i corrieri napoletani ma avevano bisogno di chi potesse garantire la liquidità dell’affare. E qui entrano in campo i soldi di Giuseppe Bosco. E lo stesso Mimmo Querulo, ora collaboratore di giustizia, a dire nel corso di una telefonata intercettata dalla polizia che “I Bosco sono miliardari hanno l’ippodromo di Siracusa e cavalli da 2 milioni di euro … hanno supermercati..” Giuseppe Bosco, insieme ai Querulo, partecipò anche ad una trasferta a Giugliano in Campania “per trovare un accordo e avviare una nuova trattativa per l’acquisto di cocaina”.

L’imprenditore è finito alla sbarra insieme ai vertici dei Cappello, ai trafficanti catanesi e corrieri della droga napoletani arrestati a maggio del 2013. Tutti, tranne il collaboratore Mimmo Querulo, hanno scelto il rito abbreviato. La procura ha presentato le richieste di pena, tutte pesantissime, al Gup. I pm Tiziana Laudani e Pasquale Pacifico nella loro lunga requisitoria hanno scandagliato i particolari dell’indagine parteita nel 2009 quando la polizia, su delega della Dda etnea, aveva nel mirino le piazze di spaccio gestite dal gruppo di Antonio Aurichella del Clan Cappello Carateddi. La Squadra Mobile, grazie ad un delicato lavoro di intercettazioni e di decodificazione di sms, riuscì a localizzare i canali della droga che da Napoli arrivavano a Catania, passando anche dalla Spagna. Il processo si divide in due tronconi investigativi: da spartiacque fa l’inchiesta Revenge che mette sottochiave i due capo promotori del traffico di cocaina Antonio Aurichella e Gaetano D’Aquino. Finiti dietro le sbarre si deve riorganizzare il traffico e qui entrano in scena Santo e Mimmo Querulo che prendono le “redini” in mano dell’affare, diventando fornitori non solo delle piazza di spaccio dei Carateddi. Intercettazioni inequivocabili, secondo l’accusa, che confermano in pieno le dichiarazioni di altri collaboratori di giustizia, tra cui anche Gaetano D’Aquino e infine Domenico Querulo portano a cristallizzare che dal 2009 al 2011 Napoli era legata a stretto giro con Catania per il traffico di cocaina. Il trasporto avveniva, come dimostra un sequestro, attraverso tir e camion. E non mancavano i benefit per gli ordini di una certa quantità: le pistole di grosso calibro erano i doni che prediligevano i Carateddi.

Non fanno sconti i due sostituti procuratori. Al Gup, tranne per Gaetano Bagnato per cui hanno presentato istanza di assoluzione “perchè non ci sono prove che abbia commesso il fatto”, chiedono pene esemplari: in totale 136 anni di carcere. Le più severe sono per i capi promotore: 20 anni la richiesta per Antonio Aurichella, 14 anni per Santo Querulo. Al finanziatore Giuseppe Bosco la stessa richiesta: 14 anni di reclusione. 10 anni per Antonio Carbone, Giampaolo Chianese, Daniele Gennaro, Luigi De Martino, Maurizio Feleppa e Antonio Parisi. 8 anni di reclusione, invece, per Enrico Di Palma, Concetto Anthony Gagliano e  Rocco Saverio Lo Sasso. Al collaboratore di giustizia Gaetano D’Aquino la pena chiesta è di 4 anni e 8 mesi di carcere. Il processo nei confronti dell’altro collaboratore Mimmo Querulo si aprirà il prossimo 3 luglio. Resta ancora aperta la posizione di Bruno Carbone, un latitante napoletano, che – secondo le ipotesi della procura – rivestiva un ruolo apicale nell’organigramma del gruppo di fornitori.

 


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