PALERMO – Fu il pentito Giuseppe Carbone a condurre i carabinieri nel luogo della macabra scoperta. Era il maggio 2013 quando furono ritrovati i corpi di Juan Ramon Fernandez Paz e Fernando Pimentel. Erano stati crivellati di colpi, bruciati e abbandonati in contrada Fiorolli, nelle campagne di Casteldaccia. In carcere finirono, un mese dopo, i fratelli Salvatore e Pietro Scaduto. Ora rischiano la condanna all’ergastolo. Hanno sempre respinto ogni accusa: il pentito, già condannato a sedici anni, li chiamerebbe in causa per vendicarsi di alcuni contrasti personali. Oggi è tornato in aula a ribadire il suo precedente racconto.
I due spagnoli dovevano morire da tempo. Secondo Carbone, due appuntamenti con la morte furono rinviati all’ultimo minuto. Gli Scaduto temevano per le tracce telefoniche lasciate da Fernandez che aveva cercato di contattarli poco prima dell’agguato. Era solo questione di tempo. D’altra parte, Pietro Scaduto era stato chiaro: “Vedi che forse sono due. Io ho detto: come forse? Perché loro camminano sempre assieme, così ci leviamo il pensiero. Va bene, vi levate il pensiero. È problema per te? No, cose vostre sono…”.
Stessa cosa sarebbe avvenuta in una seconda circostanza. “Io e Scaduto (Salvatore ndr) eravamo appostati, okay, nel frattempo Salvatore Scaduto guardava se arrivava qualcuno. Pietro era all’appuntamento con loro… – ha messo a verbale Carbone – ogni tanto però Pietro arrivava là nel posto e Salvatore ‘no vedi che è mio fratello’, perché si spaventava che ci sparassi. E io dicevo guarda non è che sono cretino”. Per evitare di essere intercettati Carbone aveva pure provveduto a recuperare una scheda pulita, poi girata agli Scaduto, grazie a “questo ragazzo di Casteldaccia che si è fatto la fotocopia del codice fiscale e della carta d’identità, è venuto con me in una ricevitoria…”.
Il duplice omicidio fu consumato in un rudere di campagna del cugino di Carbone che era riuscito ad impossessarsi delle chiavi senza insospettirlo. Non era facile attirare in trappola uno prudente come Fenandez. Gli Scaduto, però, gli avrebbero fatto credere di dovere eseguire un sopralluogo nel terreno dove impiantare una coltivazione di marijuana. “Questa è una messinscena per attirare Raimondo – ha raccontato Carbone – basta che sentiva dire c’è da fare soldi, lui ci si buttava, allora l’unico motivo per attirarlo era un qualcosa del genere, se no non lo si attirava così, come lo attiravano in campagna quello”.
Carbone ha raccontato tutti i particolari del delitto. Dalla pistola nascosta nel muro di cinta alla pioggia di fuoco, dal tentativo disperato di fuga delle vittime all’occultamento dei cadaveri. Poi, ha aggiunto che “c’è stato un poco diciamo di panico in quel momento. Questi hanno gridato, possono aver sentito gli spari, cercavo di raccattare qualche proiettile già esploso… di prendere le armi”. Ed è stato Carbone a sparare il colpo di grazia contro Fernandez: “Prima di partire c’era ancora Raimondo che si lamentava, faceva qualche rumore e io. Io in macchina non c’entro… non ci volevo entrare, così si c’è dato il colpo di grazia… io”.
Era normale che Ramon Fernandez, cacciato dal Canada per via di una condanna, riparasse a Bagheria. Bagheresi, infatti, sono gli Scaduto ma anche Michele Modica e Andrea Fortunato Carbone, fratello del pentito, che a Toronto erano sfuggiti ad un agguato. Nel 2004 qualcuno aveva tentato di ammazzare Modica all’interno di un ristorante. Forse perché avrebbe cercato di guadagnarsi uno spazio nel mondo del gioco d’azzardo, finendo per scontrarsi con gli interessi di Peter Scarcella, emigrato due decenni fa con la famiglia da Castellammare del Golfo a Toronto. Quando furono ritrovati i due cadaveri gli investigatori più attenti lanciarono molto più di un’ipotesi. Il duplice omicidio era una scia della faida canadese sbarcata in Sicilia.
Juan Ramon Fernandez era l’ambasciatore a Toronto di don Vito Rizzuto, leader del clan nato come costola di due famiglie newyorkesi (Bonanno-Gambino), ed erede di Nicolò Rizzuto, l’anziano patriarca partito da Cattolica Eraclea per diventare un potente boss a Montreal. Il dominio dei Rizzuto negli ultimi anni era stato messo in discussione da Raynald Desjardins. Coincidenza volle che quando Rizzuto venne scarcerato, nell’ottobre 2012, la guerra era esplosa più feroce che mai. Ramon Fernandez si era così trovato in mezzo al conflitto e non ha saputo o voluto scegliere con chi schierarsi. Da una parte il suo padrino, don Vito, e dall’altro Raynald Desjardins che assieme a Fernandez, nel corso della stessa cerimonia, era stato affiliato alla famiglia mafiosa canadese.