PALERMO – “Durante la detenzione a Pianosa mio padre conobbe Vittorio Mangano e seppe che scriveva telegrammi a Berlusconi perché voleva essere aiutato a essere trasferito perché sottoposto a continue violenze. I telegrammi però non partivano dal carcere perché la censura li bloccava e Mangano li stracciava. Mio padre mi raccontò che Mangano gli aveva riferito che Berlusconi era l’uomo che poteva aiutare Cosa nostra”. Lo ha detto il collaboratore di giustizia catanese Francesco Squillaci, ex capomandamento del clan Santapaola, deponendo al processo d’appello sulla cosiddetta trattativa tra Stato-mafia. Il padre di Squillaci è stato detenuto al 41 bis a Pianosa, a Spoleto e Cuneo. Vittorio Mangano, boss palermitano, prima dell’arresto, aveva svolto il lavoro di stalliere nella villa di Arcore di Berlusconi. Squillaci, condannato all’ergastolo e detenuto da 26 anni, collabora con la giustizia dall’aprile 2018. “Ho gestito la latitanza di Giuseppe Pulvirenti – ha raccontato – e avevo un contatto diretto con Benedetto Santapaola”.
Ancora Squillaci: “Mio padre, che, tra il 1998 e il 2000, era detenuto a Spoleto con i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, mi disse di aver saputo da loro che l’input per trovare il pentito Totuccio Contorno, su cui pendeva l’ordine di morte della mafia, era stato dato loro da Marcello Dell’Utri. I Graviano gli avevano raccontato che avevano individuato il covo in cui si nascondeva il collaboratore di giustizia e che non erano riusciti ad ucciderlo per poco. I fratelli Graviano – ha proseguito il teste – si vantavano di avere una amicizia stretta, intima, con Dell’Utri, e dissero a mio padre che sarebbe stato proprio lui, dopo aver avuto una indicazione dai servizi segreti deviati, a far sapere dove si trovava Contorno”.
(ANSA).