Tratta delle "schiave del sesso" |Condannate "maman" nigeriane - Live Sicilia

Tratta delle “schiave del sesso” |Condannate “maman” nigeriane

Shirley Inetianbor e Sophia Aigbedo sono state condannate dal Gup Francesca Cercone rispettivamente a sei anni e otto mesi e cinque anni di reclusione. Due delle vittime di "tratta" si sono costituite parte civile nel procedimento. I legali: "Supportate dall'Associazione Penelope".

Il processo
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Shirley Inetianbor e Sophia Aigbedo

CATANIA – Tratta delle schiave: condannate due “maman” nigeriane. In un pomeriggio silenzioso al Palazzo di Giustizia di Catania è arrivata una sentenza che rialza i riflettori su un fenomeno orripilante come quello della riduzione in schiavitù “costrette” a prostituirsi per “onorare” il loro debito legato alle antiche “credenze” dei riti vodooo. Shirley Inetianbor e Sophia Aigbedo, finite in manette un anno fa, sono state condannate dal Gup Francesca Cercone rispettivamente a sei anni e otto mesi e cinque anni di reclusione. Il pm Rosaria Mulè aveva chiesto per entrambe una pena a sei anni e otto mesi di carcere. Il Gup ha riconosciuto a Sophia Aigbedo “le attenuanti generiche”.

Le due “maman” nigeriane furono arrestate dalla Squadra Mobile dopo una lunga e delicata indagine. Un’inchiesta che portò i poliziotti nella prigione di due giovani donne che grazie al supporto dell’associazione Penelope hanno avuto il coraggio di costituirsi parte civile nel processo (rito abbreviato). Il Gup ha condannato le due trentenni a pagare una provvisionale (immediatamente esecutiva) di cinque mila euro per le due “vittime di tratta”. “La difesa delle parti civili – commentano l’avvocato Paola Aliberti e  Salvatore Vitale – non aveva dubbi sulla pronuncia di responsabilità delle due imputate, atteso che la capillare attività d’indagine svolta dagli inquirenti, permetteva una ricostruzione dell’accaduto che non lasciava ombre in ordine all’attività di tratta di esseri umani al fine di impiego nell’attività di meretricio. Preme segnalare che la tutela delle vittime è stata assicurata, altresì, dall’impegno nella lotta allo sfruttamento profuso dall’Associazione Penelope, che ha offerto protezione alle vittime oltre ad assistenza legale”.

Dall’indagine sono emersi particolari da film dell’orrore. Una delle vittime infatti è stata costretta a mangiare il cuore crudo di una gallina appena uccisa. Una “pratica” prevista nei riti vodoo. Le due giovani donne (le chiameremo Letizia e Speranza) sarebbero arrivate in Italia attraverso il metodo “dell’ingaggio per debito” legato proprio alle “credenze” voodoo. Credenze di cui le due “maman” condannate (sentenza di primo grado) hanno approfittato per “ridurle in schiavitù”. Segregate in casa. Il permesso per uscire di casa era solo per “prostituirsi” a San Berillo o sulla Catania-Gela. Il prezzo della prestazione oscillava dalle 30 alle 50 euro: l’intero incasso doveva essere consegnato a Shirley e Sophia.

Letizia e Speranza sono arrivate clandestinamente a Catania: per la loro libertà avrebbero dovuto pagare un debito – così come ricostruito dagli inquirenti – di 30.000 euro. Gli incassi delle prestazioni sessuali serviva a ripagare la somma di denaro. Non hanno mai avuto il coraggio di ribellarsi perchè sentono forte “il ricatto” legato al rito vodoo. Può sembrare assurdo, ma nella loro cultura è una credenza “fortissima” che si tramanda da secoli. Un sistema che le proprio le operatrici di strada dell’Associazione Penelope ci avevano spiegato nel corso di una lunga intervista: “Questo rito o “contratto“, che dir si voglia, le lega con la persona che gli ha permesso di arrivare qua o che le ha agevolate. Il meccanismo che influenza il loro operato, condiziona anche la loro vita, infatti qualsiasi cosa negativa, malessere fisico, possa accadere ad una delle persone del contesto familiare viene ricondotto al rito voodoo. Si crea quindi un vero è proprio rapporto di fedeltà al rito”.


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