Tutti ai piedi del 'Gallo'| Il futuro è già qui - Live Sicilia

Tutti ai piedi del ‘Gallo’| Il futuro è già qui

Il bagliore, l’urlo della folla e lui, Andrea Belotti, che corre per tutto il campo e nessuno riesce a bloccarlo, la mano destra sul capo a mo’ di cresta di gallo e quel suo sorriso sghembo che sa di beata gioventù e di felicità.

Il processo al Palermo
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PALERMO – La partita volgeva al termine; stava scemando anche il recupero, quando sull’ennesimo cross di Stevanovic dalla corsia di destra, io ho visto solo un bagliore nella fosco pomeriggio freddo e piovoso. L’ho visto brillare nel mucchio informe che si era creato davanti al lungo portiere novarese e intuii all’istante che quello era l’attimo fuggente, l’ultimo per vincere la partita. Poi, un istante dopo, molto meno d’un battito di ciglia, ho visto la palla scuotere la rete avversaria e il bagliore diventare luce che illuminava a giorno tutto lo stadio, da un angolo all’altro e far sembrare decine di migliaia i settemila e poco più che avevano preferito il gelo del “Barbera” al tepore delle proprie case: un urlo immane, come di liberazione, rintronò come un crepitio di tuoni, che segue alla folgore.

Retorica? Può darsi, ma che ci posso fare se, dopo una vittoria così sofferta e così meritata, io che ne ho viste tante in tanti anni di stadio, mi lascio andare un poco? Perdonatemelo, anche perché, se è retorica, io non me ne rendo minimamente conto, perché io quel bagliore l’ho visto e quel tuono assordante dagli spalti io l’ho sentito. Il bagliore, l’urlo della folla e lui, Andrea Belotti, che corre per tutto il campo e nessuno riesce a bloccarlo, la mano destra sul capo a mo’ di cresta di gallo e quel suo sorriso sghembo che sa di beata gioventù e di felicità. Sì, lui, il ragazzino, pescato in extremis nel mercato di agosto, come fosse un “di più”, tanto per assicurarci che ogni tanto in panchina avevamo anche un giovane di belle speranze. Lui e Verre, ovvero il futuro di questo Palermo, sempre che riesca, come tutti ci auguriamo, ad andare subito in serie A. Di filato e senza play off. Che sono un terno al lotto e ogni volta vanno come vanno, senza rispetto alcuno delle gerarchie di campionato, né di previsioni logiche. Sì, lui, Andrea, che festeggia con due gol fantastici il suo giorno onomastico, un giorno che non dimenticherà mai, campasse cent’anni. Il primo giusto al 45’, dopo la solita partita contorta e ritorta di questo Palermo, che si affanna, corre e lotta ma non va oltre una risicata sufficienza. Ci aveva provato “seriamente” solo una volta con Lafferty al 16’, dopo dribbling e cross a rientrare dal fondo di Lafferty (illuminante la pensata di Iachini, di piazzarlo lì dove di solito stanno Pisano o Morganella e dirgli di fare soprattutto quello che ha sempre fatto, l’uno contro uno, la superiorità numerica e, giunto sul fondo crossare al centro… e magari, di tanto in tanto, coprire sull’esterno avversario che avanza). Il nordirlandese avrebbe dovuto tentare la volée, ma ha sterzato e poi ha sganciato un diagonale che ha fatto la barba al palo più lontano. Ma ci aveva provato una volta anche il prudente, ma non rinunciatario Novara, con l’ex di turno, avvelenato come sono tutti gli ex che arrivano al “Barbera”: Gonzales si è intrufolato come una scheggia tra i due centrali e si è presentato solo davanti ad Ujkani per trafiggerlo da due passi. Non c’è riuscito solo per un pelo, quello che è bastato a Drapelà per soffiargli la palla con una provvidenziale scivolata, chiaramente favorita dal terreno bagnato. Quindi sembrava proprio che il primo tempo si chiudesse mestamente a reti bianche e potevamo perfino non dolercene troppo perché il Novara era sempre in grado di ripartire e colpire in contropiede. L’ambiente, d’altronde, lo favoriva, visti gli spalti semivuoti e che l’unica voce tifosa giungeva dall’anello inferiore della curva Nord, dal nuovo gruppo, formatosi di recente, in disaccordo col resto della curva e, soprattutto, con le nuove regole imposte dalla tessera del tifoso. Lo guida un tipo alto e forte e con un ciuffo cosi bianco da notarsi da una curva all’altra: una sorta di Vicè ‘u pazzu dei tempi d’oggi, cioè acculturato, informato e a conoscenza anche dei minimi dettagli societari.

Questo gruppo conterà al massimo un centinaio di fans, ma fanno un tifo tale da sembrare mille e sono avvolti da bandiere e striscioni, uno dei quali non manca mai: “IO TI AMO”. Sono loro, in pratica, a reggere le fila del tifo rimasto, il resto è solo teoria, che diventa realtà solo nel momento del gol e ancor più della vittoria. Ieri, infatti, così è stato. Al 45’ Belotti arpiona una palla poco fuori dall’area di rigore, un po’ decentrato; col suo stile un po’ così, che usa la scimitarra e mai il fioretto, si libera di un paio di avversari e appena vede la luce della pOrta di Kosicky lo trafigge con destro che è una folgore: 1-0 e palla a centro. E subito sale alto l’urlo della folla, l’unica cosa in grado dar calore alle nostre ossa intirizzite dal gelo. E succede ancor di più, qualcosa come due-tre volte di più, al 92’, al gol della vittoria, quando Belotti sovrasta come fosse un nanerottolo il suo avversario e di testa trafigge imparabilmente il povero Kosicky. Quel cross di Stevanovic era forte e bello ma era anche teso e d’alta quota e ci poteva arrivare solo uno con un’elevazione sovrana e nessun altro.

Roba, per intenderci per chi ha memoria e conoscenze nel ramo, come John Charles della Juve leggendaria di Boniperti e Sivori o come, per andare ai tempi nostri, Cristiano Ronaldo. Esagerato? Può darsi, ma io dico, a prescindere dal tifo che mi comanda a bacchetta, che il paragone ci sta e potevo fare anche tanti altri paragoni entusiasmanti.. Ma mi fermo qui e viro sui meriti del resto della squadra, che ha lottato su un campo infame, che certo non favoriva la squadra più tecnica, ad un certo punto costretta a tentare di riacciuffare la vittoria, che le stava sfuggendo per l’ennesimo buco creatosi nel centro della difesa e sfruttato da chi, se non dal solito ex avvelenato: Gonzales. E non mi dimentico certo dei meriti di Iachini, che ha fatto tesoro delle “crepe” avvertite nella sua squadra contro il Latina, ha resettato il quadro generale, innestando un elemento nuovo in ciascuno dei tre reparti: uno difesa, Terzi, uno a centrocampo, come già detto, Stevanovic e in attacco, partendo subito col duo tutto muscoli Lafferty-Belotti. E inserendo, infine, di volta in volta, Hernandez per Lafferty, Barreto per Verre e Troianello per Bacinovic. Il risultato s’è visto, perché il Novara non è più uscito dalla sua area di rigore e, dopo l’espulsione (sacrosanta) di Pesce, si è rintanato nei sedici metri, nel tentativo di chiudere ogni varco. E ci sarebbe riuscito se Belotti non ne avesse sfondato il muro con quel suo irresistibile stacco di testa.

P.S. Rileggendo a mente fredda quanto ho scritto sul tifo di sabato in curva Nord, mi sono reso conto di essermi soffermato solo sul gruppo sistemato nell’anello inferiore, come se allo stadio ci fossero solo loro. E non è così, perché c’erano, come sempre, anche i ragazzi delle Brigate, dei Warriors e del Club Pitrè e degli altri club che da sempre sono e fanno la storia del tifo ultrà rosanero. E siccome conosco il loro profondo senso di appartenenza, il loro orgoglio di tifosi, mi tocca – come un sentimento – di dir loro che non s’è trattato di malanimo o, peggio, di cattiva volontà, ma semplicemente di un’ afasia momentanea, che può capitare a chiunque, a qualsiasi cronista, perfino ad uno come me che da oltre trent’anni li seguo da vicino, una volta addirittura fianco a fianco con loro sui gradoni (allora non c’erano ancora i sediolini verdi), condividendo tutte le loro battaglie, senza mai un cedimento. E quindi, per la mia lunga milizia al loro fianco, scrivendo domenica dopo domenica di loro, dei loro sacrifici, della loro passione smisurata, nessuno io credo dubiterà della mia assoluta e totale buonafede.


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