Ucraina, un dibattito pieno di punti interrogativi - Live Sicilia

Ucraina, un dibattito pieno di punti interrogativi

Una serie di interrogativi meriterebbe però di trovare risposta prima ancora di stabilire da quale parte della linea del fronte eventualmente schierarsi.

Ci si interroga, con riferimento alla guerra in Ucraina, sul senso del dibattito che sta animando la scena mediatica nazionale e che pone dialetticamente una di fronte all’altra posizioni (apparentemente) molto distanti tra loro: armare gli ucraini ovvero tentare di indurre al negoziato la Russia di Putin, aprendo alla possibilità di un riconoscimento delle sue rivendicazioni. Una serie di interrogativi meriterebbe però di trovare risposta prima ancora di stabilire da quale parte della linea del fronte eventualmente schierarsi.
Può, innanzitutto, un paese nelle condizioni dell’Italia permettersi uno spazio di riflessione costruttiva su una vicenda di rilievo internazionale come quella che contrappone i due opposti imperialismi russo e americano?
E ancora, è velleitario ipotizzare che l’esito argomentativo di una tale riflessione orienti democraticamente in un senso o nell’altro il processo decisionale di chi gli italiani è chiamato a rappresentare? Esiste realmente questo spazio di libertà in Italia?
È, dunque, sensato contrapporre in un dibattito televisivo posizioni apparentemente tanto distanti se, in definitiva, soltanto alcune di esse trovano nella realtà autentico diritto di cittadinanza, mentre altre, oggettivamente impraticabili, vengono sottoposte all’attenzione del pubblico soltanto per consentire alle prime di accreditarsi come più ragionevoli, se non addirittura preferibili sotto il profilo etico?
È, per concludere, plausibile immaginare che gli italiani abbiano un margine di autonomia nell’individuare una propria strategia nell’ambito della questione ucraina?
È più verosimile viceversa pensare che, entità periferica all’interno di un impero che ha rivolto verso il Pacifico lo sguardo, lo Stivale debba, supinamente e opportunisticamente, limitarsi a recepire le linee di intervento indicate oltreoceano, riducendo la proiezione dei propri interessi al limitato orizzonte assegnatogli in ragione di una irrimediabile marginalità?
Vaso di coccio posto in mezzo a vasi di ferro. Le scelte di politica estera della recente storia nazionale ci inducono a ritenere che il ruolo italiano nello scacchiere internazionale si sia drasticamente ridimensionato. E non si tratta di rievocare nostalgicamente la capacità di interlocuzione virile che, in vicende come quella di Sigonella, i nostri rappresentanti seppero dimostrare nei confronti del fratello maggiore americano in difesa di una lettura autonoma delle crisi internazionali e delle relative modalità di gestione. Lo spazio di intervento lasciato libero dall’Italia è infatti da intendersi come vuoto essenzialmente diplomatico, come rinuncia a operare nella direzione di una composizione la meno traumatica possibile dei conflitti che deflagrano all’interno di un’area geopolitica di interesse strategico nazionale.
La crisi ucraina ci aiuterà a comprendere fin dove si sta spingendo tale declino. E quanto la ritrosia propositiva del nostro paese si rifletta negativamente sugli esiti del dibattito internazionale.


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