Un centro d'identificazione migranti | E le anime della borgata si dividono - Live Sicilia

Un centro d’identificazione migranti | E le anime della borgata si dividono

La borgata di Santa Maria di Gesù

La notizia scuote il quartiere Santa Maria di Gesù alle falde del monte Grifone.

PALERMO – C’è chi ha paura, chi invita a non fare di tutta l’erba un fascio, chi si rassegna al fatto che la decisione calerà dall’alto e chi invoca l’esempio di San Benedetto il Moro, l’eremita dalla pelle scura che soggiornò ai piedi del monte Grifone. Sono contrastanti i sentimenti che attraversano la borgata palermitana di Santa Maria di Gesù, alle pendici del rilievo che si innalza al di là della rotonda di via Oreto, da quando è giunta la notizia che proprio qui sorgerà un polo per l’identificazione dei migranti.

La borgata, da quando è stata costruita la circonvallazione, si trova separata dal resto della città, fra Ciaculli e Belmonte Chiavelli, ma non sembra risentirne. La presenza del convento dove soggiornò San Benedetto e dell’attiguo cimitero di Santa Maria di Gesù, fanno regnare la pace e il silenzio nonostante ci si trovi alla periferia della quinta città d’Italia. Un clima di calma che è stato però infranto dalla notizia proprio qui dovrebbe sorgere una struttura temporanea, si parla di 24 mesi, in cui identificare i migranti che arrivano al porto. Procedure che ad oggi, pur essendo lunghe e obbligatorie, si svolgono all’aperto: per questo il ministero dell’Interno, per il tramite della Prefettura, ha deciso di allestire due strutture temporanee, come ha scritto il Gds. Una dovrebbe sorgere proprio al porto, l’altra (come indicato dal settore Patrimonio del Comune) a Santa Maria di Gesù, su un terreno di 2 mila metri quadrati confiscato e destinato a verde agricolo, cosa che richiederà una variante. Dalla Prefettura hanno precisato che non si tratterà di un Cie o di un Centro di accoglienza, ma di un polo per l’identificazione dove arriveranno i migranti con i pullman, anziché stare al porto esposti alle intemperie.

Ma al di là delle precisazioni, l’umore nella borgata non è dei migliori. “Dobbiamo accoglierli, il mondo è di tutti – dice Melchiorre, volontario della parrocchia – ma di certo il quartiere non sarebbe contento di questa struttura, così come accade nel resto d’Italia”.

Un’opinione condivisa anche da Salvo, un giovane venditore ambulante di pesce: “E’ giusto aiutarli, ma devono venirci incontro e non creare problemi”. Chi abita proprio a ridosso dell’area prescelta è Salvo, di mestiere barbiere: “Temiamo i rischi di questa presenza, abbiamo dei bambini, non sappiamo nemmeno quante persone ci staranno”.

In piazza, a due passi dalla scuola, il clima non è diverso. “Non è giusto fare di tutta l’erba un fascio – dice Stefano, di mestiere macellaio – qualche paura c’è, ma è chiaro che tra di loro ci saranno buoni e cattivi come ci sono anche tra di noi. Qui ci sono molti ragazzi di colore che già lavorano, educati, non danno problemi. Siamo essere umani ed è giusto accogliere i migranti, non siamo né leghisti né razzisti”. Chi abita in borgata ha saputo della notizia tramite i mass media, ancora nessuna comunicazione ufficiale da parte delle autorità. “Ma tanto faranno quello che vogliono, indipendentemente da quello che pensiamo noi”, dice un cliente della macelleria.

Assai più critico è Francesco, che in piazza vende cibo di strada: “Qui ci sono molti italiani in difficoltà, sfrattati, sono contrario a questa struttura. Non sono razzista, ma non ci farebbe piacere. Qui prima dormivamo con le porte aperte, ora abbiamo paura”.

Sentimenti contrastanti che agitano la borgata ma su cui veglia la chiesa di Santa Maria di Gesù, da poco eretta come santuario dal vescovo Lorefice. Nella quiete dei viali alberati, fra Vincenzo, arrivato a settembre dalla provincia di Agrigento nel convento dei frati francescani, richiama l’esempio di San Benedetto, l’eremita di origini etiopi proclamato santo e divenuto compatrono di Palermo. “Da qualche parte queste strutture vanno create – dice il sacerdote che, insieme al parroco, è stato inviato nel convento dove risiedono altri cinque confratelli – serve la collaborazione della borgata e noi speriamo di poter essere d’aiuto facendo da mediatori con la borgata. San Benedetto era figlio di etiopi, la sua pelle scura è l’immagine dell’immigrazione. Certo, qualche disagio ci sarà ma bisogna collaborare: è questa la sfida”.


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