La politica e il giornalismo: a colloquio con Giuseppe Alberto Falci

Un saggio, la politica, il giornalismo: a colloquio con Giuseppe Alberto Falci

"Troppe prime donne. Atteggiamento controproducente in questa fase dove il centrodestra ha davanti praterie", dice il cronista del Corsera.

CATANIA. L’ingresso di Giancarlo Cancelleri in Forza Italia certifica, in un certo qual modo, la fine di un progetto. Forse di un’epoca. Epoca nella quella la Sicilia ha avuto un ruolo tutt’altro che marginale, se non da vero e proprio laboratorio politico (immagine problematica e sempre attuale). Tra populismo e tecnocrazia: un decennio vissuto pericolosamente è il sottotitolo di Dopo la democrazia (Zolfo, 2023), saggio di cronaca politica scritto a quattro mani da Jacopo Tondelli e da Giuseppe Alberto Falci, giornalista nisseno in forza al Corriere della sera. Nel 2012, attraversando lo Stretto a nuoto, Beppe Grillo ha inaugurato quello tsunami che ha poi segnato gli umori di una fase storica priva però di punti fermi. Da allora sono venute meno parecchie leadership anche nell’Isola, fra queste quella di Gianfranco Micciché.  

Falci, da autore del sessantuno-a-zero a marginalizzato nel suo stesso partito, che è successo all’ex presidente dell’Ars? 

Micciché non è stato soltanto un leader, ma un uomo macchina per Forza Italia. La cui spinta propulsiva è andata a finire. Adesso si è in una nuova fase, una fase nella quale FI ha davanti alla prospettiva se trasformarsi o no in una corrente del Melonismo. Una prospettiva che alletta in tanti, fra questi il presidente Renato Schifani. 

Vede in FdI il Pdl 2.0?  

Direi di più: una nuova Democrazia cristiana, con dentro un’anima di tradizione missina e tanto spazio entro cui per far accomodare centristi, liberali, forzisti e quanti non sono oggi né nel centrodestra né nel centrosinistra. Mi riferisco a quel pezzo Terzo Polo che non si è fuso con Azione di Carlo Calenda. 

A Matteo Renzi, cioè?

È chiaro che tutti questi ragionamenti non si verificheranno dall’oggi al domani. Bisognerà aspettare le Europee, probabilmente. Il sistema di voto proporzionale obbligherà tutti a massimizzare il più possibile il consenso. Da lì in poi potrà succedere di tutto. 

Questa è sempre stata una terra generosa con Berlusconi, la sua definitiva uscita di scena che trauma potrebbe rappresentare per la Sicilia?

Sì, fino alle ultime elezioni, l’Isola ha dimostrato di essere un feudo azzurro. In passato era un feudo Dc, poi ci sono stati i vari Totò Cuffaro, Raffaele Lombardo e una breve parentesi di centrosinistra. Una terrà che sa trovare da sola un equilibrio. E oggi c’è da fare i conti con il Melonismo, fenomeno che non escludo possa essere  la nuova versione del berlusconismo. 

Intanto, Totò Cuffaro è stato riabilitato: cosa può significare?

Cuffaro è stato un punto di riferimento per il centrismo della Seconda repubblica. Ed è ancora una figura dotata di un qualche peso territoriale. Certo, un conto è essere presidente della Regione; un altro è essere a capo di una formazione che è ben lontana dai numeri degli anni Novanta-Duemila. 

Nonostante la Meloni al governo a Roma e Schifani a Palermo, il centrodestra non riesce a non litigare. Il parto della candidatura di Enrico Trantino a sindaco è stato travagliato, come mai?

Ci sono troppe prime donne, ognuna che vuole dominare sull’altra impedendo il dialogo. Un’atteggiamento controproducente, soprattutto in questa fase dove il centrodestra ha davanti praterie. 

L’agenda politica siciliana può essere ricondotta soltanto al Ponte?

Il Ponte sullo Stretto avrebbe sicuramente una sua forza anche simbolica, ma non sarebbe risolutorio. Il problema dei trasporti in Sicilia è enorme. I nisseni come me, ogni qualvolta atterrano a Catania o Palermo, affrontano un calvario. Per non parlare, poi, del viaggio da Trapani a Ragusa. E poi mi chiedo: ma i fondi ci sono davvero? È davvero la soluzione? Non sono un no-Ponte. Ma non posso non riflettere sullo stato dell’arte di questa terra.

Salvini, un padano, potrebbe raggiungere un risultato da lungo atteso?

A un certo punto della sua storia, Salvini ha capito che avrebbe dovuto rimodulare la Lega, facendola diventare una forza nazionale che non vede più nei cosiddetti terroni il nemico. Una operazione intelligente. Poi, però…

Però…

Mettiamola così: dalle scorse Europee, Salvini le ha sbagliate tutte. L’harakiri del Papeete ha rappresentato la ciliegina sulla torta. E la sua leadership è andata in avaria, così come l’idea di poter rappresentare le istanze della Sicilia e della Calabria. 

Falci, non crede quindi che Salvini ci riuscirà?

No, non ci credo. Il motivo è semplice: le percentuale della Lega sono tornate a salire da quando è ritornata a tutelare gli interessi del Nord. Il Carroccio non è più di Salvini, ma dei governatori. Un partito, cioè, che risponde a un particolare ceto produttivo. Non meridionale, ovviamente. 

Arriviamo al caso Cancelleri, che ne pensa?

“Che rappresenta la vittoria del Scilipotismo”.

In che senso?

“Devo dire che Scilipoti è stato sincero nella sua operazione trasformistica. Avrei compreso se Cancelleri avesse aderito a FdI o al Pd. Non a Forza Italia”.

Qual è la differenza?

“Nulla contro il partito del Cav. Ma il grillismo nasce come reazione a Berlusconi e al Berlusconismo. E dunque significa che Cancelleri ha preso in giro i cittadini siciliani fin dell’inizio. Berlusconi non è più il caimano? Come lo spiegherà a chi lo ha votato in questi anni?”


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