Università in caduta libera | Persi 13 mila iscritti dal 2003 - Live Sicilia

Università in caduta libera | Persi 13 mila iscritti dal 2003

Catania è quella che perde più posizioni (ben sei), piazzandosi al 60° posto; Palermo, prima delle siciliane, è al 56° posto (nel 2012 era al 55°), mentre Messina ed Enna perdono una posizione rispetto al 2012, scendendo verso il fondo della classifica, trovandosi rispettivamente al 67° e 68° posto.

I DATI ISTAT
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PALERMO – Le università siciliane sono in caduta libera: da qualsiasi punto le si guardi, non c’è un dato che possa anche minimamente confortare. Ne basti uno su tutti: in Sicilia nel 2012 si sono immatricolati 18.446 studenti, quasi 13.000 in meno rispetto al 2003. E il dato è in costante calo.

A dirlo è l’Istat, nel capitolo “Istruzione e Formazione” del Rapporto annuale 2013, che verrà presentato il prossimo 22 maggio, alle 11, presso la Sala della Regina di Palazzo Montecitorio. I dati parlano di una Sicilia in affanno su tutti i fronti: totale degli studenti immatricolati, indici di attrattività, saldo migratorio degli studenti, accesso ai dottorati post-lauream e al mondo del lavoro e, come se non bastasse, anche l’efficienza degli sportelli amministrativi.

Analizzando le quattro università dell’Isola (le tre statali più la “Kore” di Enna, non statale ma promossa da enti pubblici), nella classifica nazionale – redatta per le 71 università italiane per servizi, borse di studio, strutture, Web ed internazionalizzazione – si posizionano tutte in calo rispetto all’anno precedente: Catania è quella che perde più posizioni (ben sei), piazzandosi al 60° posto; Palermo, prima delle siciliane, è al 56° posto (nel 2012 era al 55°), mentre Messina ed Enna perdono una posizione rispetto al 2012, scendendo verso il fondo della classifica, trovandosi rispettivamente al 67° e 68° posto.

Non va meglio se si osserva l’aggregato relativo alla Sicilia. Oltre alla suddetta riduzione degli immatricolati nelle facoltà dell’Isola, infatti, vengono fuori altri dati che denunciano la pessima situazione delle università siciliane. Uno è quello relativo all’emigrazione degli studenti: solo il 78% dei ragazzi siciliani che intende iscriversi all’università sceglie una facoltà dell’Isola; il restante 22% preferisce “emigrare” al Nord, con mete preferite (in ordine di scelta) tra Milano, Bologna, Roma e Torino.

Anche il dato riguardante i dottorati post-lauream parla di una Sicilia che fa marcia indietro: solo il 3,6% dei laureati che vuole accedere ai dottorati riesce ad ottenere un contratto (il dato peggiore tra le venti regioni italiane, secondo i dati Istat), e il dato è in costante calo dal 2008.

Aprendo il capitolo dell’accesso al lavoro, i numeri non sono affatto migliori: nell’Isola solo il 67% dei laureati trova un lavoro nei primi tre anni dopo il conseguimento del titolo, contro una media nazionale del 73%. Non va certo meglio quando si passa all’amministrazione universitaria. Passano in media ventuno giorni per il disbrigo di una pratica contro una media nazionale di appena quattro giorni.

“Siamo penultimi tra i Paesi Ocse per numero di laureati tra la popolazione attiva. In Italia siamo al 18% contro una media europea del 30%”, commenta Ivan Lo Bello, vicepresidente per l’Education di Confindustria nonché ex presidente degli industriali siciliani. Che aggiunge: “La crisi ha solo amplificato i problemi strutturali del nostro sistema educativo. È vero che i giovani laureati hanno più difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro, ma non deve passare il messaggio che la laurea non serve. Le nostre imprese non competono senza un capitale umano avanzato ed è per questo che dobbiamo fare sistema, mettendo insieme politiche industriali e politiche formative. Per occupare i nostri laureati servono università più aperte al lavoro e alle imprese e serve puntare più diffusamente su apprendistato, ITS, tirocini formativi”.

Insomma, una formazione più in sintonia col mondo produttivo. Viceversa, il destino della Sicilia sembra segnato. E non promette nulla di buono.


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