La fine di Valentina e la confessione del figlio: “Cercava di allontanarsi, ma la colpivo ancora”

La confessione del figlio: “Cercava di allontanarsi, ma la colpivo ancora”

Sono state depositate le motivazioni della sentenza del Tribunale minorile che ha condannato a 16 anni il figlio di Valentina Giunta.

CATANIA. Sentimenti d’odio maturati in un contesto familiare di profonda arretratezza, dove persino azioni normalissime per una donna – uscire con gli amici o con le sorelle, indossare abiti succinti o, testuale, “farsi le unghie” – erano considerati non “apprezzabili”. È in questo contesto, accuse del genere – che alcuni, nella famiglia del suo ex, le muovevano – che è maturato l’assassinio di Valentina Giunta, già vittima di maltrattamenti da quell’uomo e infine uccisa dal figlio minorenne. Sono raccapriccianti le ricostruzioni delle testimonianze sulla base delle quali il figlio di Valentina, reo confesso, è stato condannato a 16 anni di reclusione.

A cominciare dalla ricostruzione del delitto fatta proprio da lui. Quel pomeriggio, il ragazzo, ha detto che era andato a casa della madre a riprendere degli oggetti che gli aveva regalato suo padre e che mentre era lì sua madre si sarebbe avvicinata chiedendogli perché non le parlasse più. “Mi ripeteva sempre che lei era mia mamma, che mio padre aveva commesso degli errori, perché era un delinquente e l’aveva maltrattata e lui mi avrebbe portato a mala strada”, ha riferito.

E ancora: “Io era più di un anno che non parlavo con mia mamma, da quando lei mi aveva buttato fuori di casa ed io ero andato a vivere dal nonni paterni. Io non avevo alcuna intenzione di parlare con lei e continuavo a dirle “vattene” perché non mi interessava. Lei è rimasta all’incirca un quarto d’ora a ripetere sempre le stesse cose, cercando di convincermi a parlare con lei, ma io non le davo conto”. A quel punto la sua ricostruzione è passata alle fasi del delitto.

Il ragazzo, in pratica, ha sostenuto che sua madre avrebbe preso in mano un coltello dicendogli: “Se non torni con me…”; ma senza formulare nessuna minaccia specifica. E poi ha proseguito: “Io le toglievo ii coltello dalle mani e la colpivo. Io potevo andare via anche perché lei era mi girava le spalle e cercava di allontanarsi, invece io continuavo a colpirla alla schiena”. Il giovane ha dunque confessato, pur sostenendo che il coltello era in mano alla mamma.

Ma la sua tesi non ha convinto affatto i magistrati, tant’è che il Tribunale per i minorenni di Catania, presieduto dal giudice Rosalia Castrogiovanni, scrive di ritenerla “non certa e anche poco verosimile”, considerando che per disarmare la madre, il ragazzo “avrebbe dovuto riportare qualche ferita nelle mani, atteso che avrebbe dovuto, per impossessarsi dell’arma, prenderla dal lato della lama, essendo l’impugnatura nella mano della madre, lesioni che il ragazzo non riporta”. Il legale del figlio di Valentina, l’avvocato Francesco Giammona, aveva chiesto in aula per il suo assistito il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, puntando nella sua arringa, tra i vari punti, sulle tensioni del periodo antecedente al delitto e sugli effetti che queste potrebbero aver avuto sul minore. E adesso fonti di difesa fanno sapere che sarà presentato ricorso in appello. In aula era presente in veste di parte lesa la famiglia della donna, che è assistita dall’avvocato Salvatore Cannata.


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