Uccisa con 40 coltellate |"Condannare al massimo della pena" - Live Sicilia

Uccisa con 40 coltellate |”Condannare al massimo della pena”

L'accusa ha chiesto al Gup la condanna a trenta anni di reclusione per Gora Mbengue. (Nella foto il giorno dell'arresto) Si avvia alle fasi conclusive il processo sul delitto di Veronica Valenti, assassinata nel 2014 vicino alla stazione di Catania.

L'atroce delitto di Veronica
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CATANIA – Si avvia al termine il processo con rito abbreviato che vede imputato Gora Mbengue per l’omicidio della trentenne di Belpasso, Veronica Valenti. La ragazza fu assassinata nell’ottobre del 2014 con quaranta coltellate, inferte dall’ex fidanzato all’interno della propria auto sotto gli occhi di diversi testimoni. Poco dopo il ragazzo di origini senegalesi confessò di avere commesso il delitto perché non voleva rassegnarsi alla fine della sua relazione con la vittima. Sono trenta, gli anni di reclusione chiesti nella penultima udienza dal Pm Consoli. Nell’ultima udienza, gli avvocati delle parti civili hanno formulato la loro richiesta di condanna: il massimo della pena con le aggravanti “dei motivi abietti, di avere agito con crudeltà trafiggendo e seviziando la parte offesa fino a eviscerarla, avendo premeditato il gesto omicidiario essendosi presentato armato di coltello all’appuntamento con la vittima”.

Gaetano Valenti, avvocato della famiglia della vittima è intervenuto in aula ricostruendo la dinamica del delitto. Il legale ha rilevato “la violenza e la crudeltà” dimostrata dall’imputato che “come una furia ha continuato a infierire sul corpo martoriato della ragazza”. “Non ci sono dubbi che sia colpevole”, ha detto il legale ripercorrendo la vicenda e concentrandosi sul modus operandi dell’imputato per chiedere che Mbengue sia condannato con il massimo della pena tendendo conto delle aggravanti di crudeltà e premeditazione. La medesima richiesta di condanna è stata invocata dall’avvocata Valeria Sicurella, legale del centro antiviolenza “Thamaia” costituitosi parte civile nel processo. Una scelta ponderata quella di costituirsi parte civile per i timori che il processo “scivolasse su altri temi” attraverso “una chiave di lettura razziale”. Paure scongiurate “per come si è svolto il processo”, spiega l’avvocata che in aula ha parla del fenomeno del femminicidio e delle sue reali cause. “Non è un delitto d’amore” si tratta della “volontà di annullare una persona che pensi ti appartenga”.


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