Caro Enzo, caro Vincenzo Mineo, tante volte abbiamo chiacchierato, soprattutto via Facebook, sempre con schiettezza e con una sintonia di fondo. Quando capitava di dissentire, te lo dicevo: caro Enzo, non sono d’accordo. E tu che eri un illuminista prendevi la cosa per quello che era. Un invito a un supplemento di dialogo.
Caro Enzo, ecco, credo di interpretare un sentimento generale se scrivo: caro Enzo, non sono d’accordo con la tua morte. E sono sicuro che tu saresti d’accordo con me e con l’immensità delle anime che sti stanno piangendo, con un cordoglio che dà già la misura dell’uomo immenso che eri. Qui è racchiusa una parte della tua limpida storia.
Cosa è peggio? Andarsene senza preavviso o dopo l’annuncio di un addio? Non lo so. Quello che è peggio, nel rispetto della singolarità dell’amore di tutti, è non avere più accanto qualcuno come te. Qualcuno che era un approdo sicuro di intelligenza, sensibilità e affetti. Ti perde la tua famiglia a cui va il nostro più caro abbraccio. Ti perdiamo tutti e, come sempre accade, resta la speranza di ritrovarsi.
Caro Enzo, anche tu eri un sopravvissuto, però sei andato avanti. Sei riuscito, come altri carissimi amici che ti piangono, a costruire la dolcezza sulle macerie della guerra di Palermo. E tu che avresti potuto chiamarli, nella comune militanza della storia, ‘Giovanni’ e ‘Paolo’, tu li chiamavi ‘il dottore Falcone’ e il ‘dottore Borsellino’, oppure Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, oppure Falcone e Borsellino, come segno anche formale di rispetto. E mi avevi raccontato di quando ti trovasti con il dottore Borsellino davanti al corpo del dottore Falcone: “Riusciamo a entrare nella stanza dove hanno appena portato il corpo di Falcone. La mia memoria procede per flash. Ricordo il procuratore di Palermo, il dottore Lo Voi, allora giovane magistrato, seduto su un gradino con la testa tra le mani. A un certo punto ho quella sensazione di essere rimasto solo. Ma avverto che accanto a me c’è qualcuno. Mi volto. Nella penombra, scorgo Paolo Borsellino. Ha il viso bianchissimo, stanco, respira quasi a fatica. Non parla, non dice niente”.
Caro Enzo, ti ricordiamo con una foto della normalità che tanto amavi e che rimpiangevi, con la passione e l’intelletto della profondità. E ne approfitto per chiederti scusa: mi avevi mandato un abbraccio, appena ieri, sui social. Non mi sono accorto del messaggio e non ti ho risposto. Purtroppo, non sappiamo mai quando sarà l’ultima volta. Per riparare ho messo ora un cuore. Da qui all’eternità.