TROINA. I giudici della Corte d’appello di Caltanissetta hanno ridotto la pena inflitta in primo grado a L.A., l’operatore socio-sanitario che due anni fa – mentre Troina, in provincia di Enna, era in piena zona rossa durante il lockdown – abusò sessualmente di una ragazza disabile all’interno dell’Oasi, dove lavorava. La giovane, a seguito della violenza, rimase incinta. La sentenza giunta ieri sera riduce da dieci a 7 anni 6 mesi, rispetto al primo grado, la pena inflitta all’operatore, allora trentanovenne. I giudici hanno anche revocato la misura di sicurezza della libertà vigilata (dopo che avrà scontato la pena). In aula la parte civile è assistita dall’avvocato Eleanna Parasiliti. La sentenza d’appello, le cui motivazioni si conosceranno solo in seguito, non modifica la qualificazione giuridica del fatto, con le aggravanti e le statuizioni civili disposte in primo grado.
L’inchiesta
L’inchiesta sul caso è stata coordinata dai pm Stefania Leonte e Orazio Longo, sotto il coordinamento del procuratore di Enna Massimo Palmeri. L’accusa in primo grado aveva chiesto una pena ancor più severa, 14 anni per violenza sessuale aggravata “dall’aver commesso il fatto ai danni di una donna disabile e nel momento in cui la stessa era a lui affidata”.
Il condannato
Il condannato, reo confesso, era stato sottoposto a fermo dagli agenti della Squadra Mobile di Enna il 7 ottobre 2020. Attualmente è ancora in carcere. Secondo quanto ricostruito, avrebbe approfittato di un attimo di distrazione dell’infermiere di turno per abusare della donna, la quale ovviamente, per via della sua grave disabilità, non poteva aver dato il proprio consenso ad avere un rapporto sessuale.
Fu proprio dalla denuncia della famiglia della vittima che partì l’inchiesta, quando i suoi cari appresero che la ragazza era rimasta incinta. Gli investigatori agirono con tecniche tradizionali, interrogando i dipendenti della struttura. Si capì subito che non poteva essere entrato nessuno da fuori, perché la sicurezza all’interno è assoluta; il ché, se possibile, rendeva il caso ancor più inquietante, dato che l’autore era inequivocabilmente qualcuno che avrebbe dovuto accudire la ragazza, non certo abusarne.
L’interrogatorio
Quando fu sentito, L.A. mostrò subito confusione e disagio. La polizia capì che stava nascondendo qualcosa, così l’interrogatorio si fece più serrato, fino alla sua piena confessione. Qualche giorno dopo il fermo, intervenne pubblicamente l’Oasi di Troina, per esprimere sconcerto e sottolineare che nulla del genere era mai successo prima, nella storia dell’Oasi, specificando altresì che fu proprio l’Istituto, non appena si accertò lo stato di gravidanza della propria assistita nell’ambito dei normali controlli, a informare immediatamente la famiglia e denunciare il grave fatto alle forze dell’ordine.
I vertici dell’Oasi
“Con i genitori è stato deciso il percorso da adottare e sin da subito ci siamo messi a loro disposizione per qualsiasi bisogno, anche futuro, della ragazza e del nascituro”, dissero all’Oasi, aggiungendo che la ragazza era ancora loro ospite, segno della fiducia della famiglia verso la struttura. “Vogliamo rassicurare tutti che questo episodio va considerato un unicum che non può intaccare il lavoro professionale di tanti nostri operatori e per tanti anni – aggiunsero i vertici dell’Oasi –. Come le nostre famiglie sanno noi ci facciamo carico dei nostri ospiti per ogni cosa, soprattutto per rendere la loro vita più serena”.