Una volta, Rosario Crocetta covava almeno il senso dello spettacolo. Quando entrava in scena, illuminato dai riflettori, la gente tratteneva il respiro, come aspettando l’ingresso circense del giocoliere o della tigre bianca, orgoglio di ogni domatore. Era un mero riflesso della curiosità; il brivido per un presidente della Sicilia antimafioso, coraggioso e perfino dichiaratamente gay – come da cartellone al botteghino – attirava gli spettatori, riempiendo le prime file. Ora non più. Così Saro, che aveva trovato come ultimo rifugio l”Arena’, si è ridotto a vagare lungo i sentieri dello show perduto, un funambolo senza più il dono dell’acrobazia; lì è stato raccolto da Nicola Porro che ha avuto l’idea di scritturare uno degli scarti televisivi di Massimo Giletti nella compagnia di giro del suo programma ‘Virus’.
Come spesso accade, la somma di due sconfitte ha generato una catastrofe. Il presidente poco sopportato in patria e il giornalista in cerca di ossigeno per la sua rachitica audience, in coppia, sono risultati peggio che da soli. E va bene che ormai dire ‘talk show’ è come dire ‘tirannosauro’. Ma perché incrudelirsi con l’esplosione del nulla oltre i confini del niente? Quei due – ieri sera – sono andati avanti imperterriti, per ore, nella parata dei luoghi comuni senza suscitare un lampo di interesse, come certificano i dati ascolto.
Un dialogo di muti per sordi. Rosario ha rinnovato la sua sapienza a dispense, chiacchierando da corsista serale di Isis, sicurezza, elezioni presidenziali, e sempre omettendo di pronunciare l’unica parolina davvero necessaria: “Sicilia”. Nicola gli è andato dietro, scompigliando il suo già caotico eloquio con scatti nervosi delle mani per ravviare i capelli imbrillantinati.
La malinconia dell’attimo – purtroppo non abbastanza fuggente – veniva plasticamente raffigurata dal pallore di Vittorio Feltri, presente e attonito: Rosario balbettava di tagliagole, benzinai che sparano, forze dell’ordine; e Nicola gli danzava intorno alla vana ricerca un ciuffo di gravità permanente. Mentre si raddoppiava il nostro lutto, di siciliani e telespettatori. Non c’è rimasta nemmeno l’allegria del naufragio.