In giro con la Santuzza - Live Sicilia

In giro con la Santuzza

Il 385° Festino di Palermo
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Palermo infelicissima offre il suo vasto campionario al viaggiatore che l’attraversa in cerca del carro e del Festino. Sulla strada che conduce ai Quattro Canti, c’è una persistente puzza di urina, accanto a fiori di munnizza appena sbocciati. Il traffico e i clacson costeggiano Corso Vittorio. Nel pomeriggio c’era stato l’ennesimo incidente mortale, un “must” di questa tremenda estate. Tutto è immancabilmente al suo posto. Tutto va secondo il suo destino. Ristabilita la saldezza dei punti cardinali e dei riferimenti di sempre, si può procedere a caccia della Santuzza sul Cassaro, in occasione del 385° Festino di Palermo. C’è il caldo che appiccica la camicia sudata alla pelle. Ci sono i motorini accesi che sfrecciano tra la folla.

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Ci sono le bancarelle con mercanzie dalla foggia strana. Ma sulle bancarelle non ci sono i Pokemon, quegli strani animaletti d’oltremare che furono protagonisti indiscussi di più di un paio di Festini. No, non ci sono più. Passarono. E dire che parevano invincibili. Il tramonto dei Pokemon è l’unica notizia della serata. Poi, la città è tutta qui, ingrassata e voluttuosa nella contemplazione della sua povertà.
Il carro è un puntino lontano sul Cassaro. E’ stato realizzato – dicono – in economia. E le ristrettezze sono tornate utili per dare un messaggio di sobrietà urbi et orbi. La piccola scenografia della festa di Palermo è dedicata ai migranti, agli ultimi. Mai congiuntura fu più propizia alla morale della favola. “Un Festino – sono parole del sindaco – meno fastoso degli anni precedenti, all’altezza della tradizione”. Il pezzo forte, fuochi offerti da Banca Nuova a parte? I giochi d’acqua in cattedrale “che simboleggeranno la purificazione della città”. Manca l’atteso carrozzone dei senzacasa, fermato dalla diffida del questore. Resta appiedata Mimma, la sfollata dello Zen, pronta a rappresentare una contro-Rosalia di protesta. Sempre in cattedrale riecheggiano i versi aspri di Alda Merini (“Bambino, se trovi l’aquilone della tua fantasia legalo con l’intelligenza del cuore. Vedrai sorgere giardini incantati e tua madre diventerà una pianta che ti coprirà con le sue foglie”), per bocca delle attrici Rory Quattrocchi (splendida) e Isabella Ragonese. Le cronache notano di passata che al corteo manca pure un qualsivoglia rappresentante del Comune. A memoria di palermitano, dovrebbe essere la prima volta. Un record.
Nonostante tutto, Palermo infelicissima, scalza e malandata si stringe alla sua Santuzza e non la tradisce, con un amore che riluce di sovrumano. Nelle facce devastate delle anime in transito alla Marina si coglie il riflesso prepotente di questo amore che, da una parte, confina con la volgarità un po’ “tascia” delle borgate, mentre dall’altra tocca una dolcezza a cui nessuno sa dare un nome. E quando qualcuno ci prova, dalle labbra gli esce come un sussurro di risacca: “Rusulia”.
Il sindaco è stato di parola. “Non salirò sul carro”, aveva promesso. Non è salito, infrangendo la tradizione. C’è, nel tratto di Diego Cammarata, un coraggio ostinato che spinge verso una umanissima simpatia, a dispetto dei guai fin troppo evidenti della città. Il sindaco, comunque, tira dritto per la sua strada. E mirate pure dove volete. Peccato che la munnizza circostante sia un dito puntato contro il petto di Palazzo delle Aquile.
Il carro della Santuzza, visto da dietro, è un’anima grezza di molta pena e poco sfarzo. Meglio così. Ogni splendore, in questo momento, avrebbe avuto un retrogusto insopportabile. E beffardo sarebbe risuonato quel grido: “Viva Palermo, viva Santa Rosalia”. Poco adatto ai tempi. Altre parole sarebbero necessarie per scattare una foto sincera. Quelle pronunciate dal cardinale Pappalardo su Sagunto espugnata e sulla città abbandonata: “Povera la nostra Palermo”.

(foto Petyx)


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