Borse dopate e crescita cinese - Live Sicilia

Borse dopate e crescita cinese

La nota sui mercati
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ECONOMIA: l’eroina entra in circolo
A Wally l’indice VIX (che misura il rischio atteso) è sceso sotto quota 34 per la prima volta dal collasso della Lehman. L’indice settoriale “Morgan Stanley Cyclical” è salito del 7% questa settimana e si trova ora a + 85% dai minimi del 6 marzo; nello stesso periodo il settoriale delle costruzioni “S&P Homebuilding index” è anch’esso a +85%, quello delle banche a +95% , quello dei prodotti al dettaglio “Morgan Stanley Retail index” a + 64%…. potrei continuare, ma penso possa bastare per rendere l’idea che vale  la pena cercare di capire meglio cosa ci sia sotto a questi rialzi, vale a dire le dinamiche dell’ inflazionamento globale, scatenato dalle potenti dosi di eroina somministrate dalle Autorità.
Infatti, ci sono anche tanti altri indicatori che parlano chiaro in questo senso. Le economie “emergenti” sono state le prime a rispondere come da manuale: i rendimenti sui bonds brasiliani sono crollati dal 10,6% al  6,4% e quelli messicani hanno fatto solo un pò di meno (-350 cts.). I prezzi dei CDS (le protezioni dal rischio fallimento) che avevano superato in ottobre l’11% sul rischio russo, sono crollati al 3,8%; sul rischio turco dall’8,5% al 3,35%, su quello ungherese dal 6,4 al 4,5% su quello sud coreano dal 7% al 3% (quest’ultimo paese ha annunciato questa settimana una crescita del PIL nel primo trimestre 2009 di +0,1 una performance ritenuta impossibile fino  a pochi mesi fa). Ci sono segnali di crescita più veloce del previsto in tutta l’Asia. La Bank of China  ha stimato che lo stimolo governativo da 585 miliardi di dollari, porterà la crescita 2009 a situarsi tra il 7 e l’8%. La borsa cinese è già a +35% da inizio anno, seguita dal +31% della Russia, dal +25% del Brasile e dal +17% dell’India, mentre in Asia svetta Taiwan con +28%, seguita dal Sud Corea a +20%, e i paesi con le performance borsistiche più basse sono  meglio posizionati rispetto ai principali indici mondiali: vedasi  Hong Kong con +6% ma anche il Nikkey con -1,7% e l’Australia praticamente in pari. Il mercato valutario esprime l’orientamento inflazionistico con le monete  “commodities” tra le più forti da inizio anno: il  rand +7,7% la corona norvegese+ 6,1%, il real + 5,5%, il peso messicano + 3,4%, il dollaro autraliano + 2,4%. Tra le materie prime svettano i metalli industriali: rame  +45% , platino + 25%,insieme a piombo e zinco; ed anche i preziosi  con l’argento a +9% non scherzano, mancano solo gli energetici che sono quelli con l’impatto più immediato e diretto sugli indici di inflazione al consumo.
Anche l’attività di fusioni ed acquisizioni è ripresa alla grande, con operazioni spettacolari come quelle della Pepsi Cola, di Oracle, ed ora perfino della Fiat, mentre le nuove emissioni di debito sono già ad oltre 1,5 trilioni da inizio anno con l’Asia in crescita del 55% rispetto a un anno fa. Sono ripartite financo le emissioni “spazzatura”, cioè dei titoli ad alto rischio, i cosiddetti junk bonds : negli ultimi 15 giorni ne sono stati venduti per 5,5 miliardi. Parallelamente si stanno contraendo i premi per il rischio: i differenziali sono ai minimi da ottobre, sia sui junk, sia sui titoli di qualità, sia infine sui debiti delle municipalità. Questa settimana i tassi interbancari hanno fatto nuovi minimi a livelli mai visti, e mentre si aspettano ancora i cosiddetti “stress tests” del governo USA sulle banche americane, i CDS stanno già scontando risultati ottimali: quelli su JPMorgan sono scesi di 170 cts, su Morgan Stanley di 120, su Goldman Sachs di 130 su Wells Fargo di 60 e perfino su Citigroup sono scesi di 90(anche se restano elevati a quota 5,75%).Occorre infine notare come l’indice delle richieste di mutui ipotecari si sia impennato tornando a livelli quasi massimi, guidato soprattutto dai rifinanziamenti, adesso al doppio rispetto un anno fa, grazie ai tassi a minimi storici. E questo è un indicatore che nel passato si è molte volte rivelato un esatto anticipatore dell’inflazione sistemica, perché significa che milioni di famiglie si troveranno con minori pagamenti mensili sulle loro rate di mutuo, e quindi avranno maggiori margini di spesa per consumi.
Dunque i rialzi delle borse sembrano preannunciare che in estate potrebbero arrivare sorprese positive, a cominciare proprio dal mercato immobiliare, con possibili trascinamenti anche sulle auto, e a catena su tutta l’economia. E se si considera la portata dello stimolo fiscale e monetario globale in atto, senza precedenti, non c’è da stupirsi. Intanto  i mercati, mentre paiono scommettere in questa direzione, ignorano il rovescio della medaglia : la grande inflazione prossima ventura che questa dinamica porta con sè, e la tragedia dello scoppio della bolla dei titoli di stato, le cui quotazioni si stanno solo  appena iniziando a erodere. Perchè l’ignorano?
Per capire perché vi siano scuole di pensiero diverse in materia, occorre partire dall’equazione base: MV=PQ. Questa è un importante equazione , così come lo è per i fisici quella celebre di Albert Einstein(E=MC2). Ci dice che se prendiamo su base annua la quantità di produzione (Q) essa deve per forza essere valorizzata con prezzi (P) che la rendano uguale alla quantità di moneta (M) in circolazione, considerato il numero di volte in cui essa circola durante l’anno (V, velocità). Immaginiamo per semplicità che in un sistema economico vi sia un solo prodotto in quantità di un milione di pezzi, e che vi sia una quantità di moneta pari a 10 milioni di euro, che passa di mano una volta al mese, e quindi ha una velocità di 12 all’anno, allora il prezzo del prodotto sarà pari a 120 euro (120 milioni di euro). Ciò implica che se si aumenta la moneta (nell’esempio a 20 milioni), a parità di velocità e di PIL (produzione), ci sarà inflazione, cioè un prezzo maggiore per il prodotto (nell’esempio a 240 euro), perchè questa equazione deve per definizione bilanciare, come è ovvio. Ma se si riduce la velocità di circolazione della moneta, a parità di moneta e prodotto, avverrà il contrario, cioè un calo del prezzo, quindi deflazione.
Poichè oggi si osserva che la gente tende a indebitarsi di meno e a usare meno velocemente la moneta (quindi V si riduce)  allora si paventa la deflazione, che metterebbe in crisi i debitori, cioè soprattutto i governi. Allora, si stampa moneta per compensare la riduzione di V con un aumento di M, ma occorrerebbe farlo solo nella misura in cui la riduzione della velocità eccede il calo del PIL. Naturalmente è impossibile stimare con precisione di quanto calerà il prodotto e di quanto si ridurrà la velocità di circolazione riflettendo entrambi comportamenti psicologici di massa, quantificabili solo a posteriori. Ed è dunque certo che nel dubbio le banche centrali tendono a stampare ben più moneta di quanta ne serve per contrastare la deflazione, e soprattutto è sicuro che ci metteranno del tempo prima di capire quando fermarsi. Più precisamente, lo capiranno solo dopo che i prezzi risulteranno aumentati che  del resto è proprio quello che loro vogliono: l’inflazione, per alleggerire i debiti.
Quindi chi si dice non preoccupato dell’inflazione futura, e si dice convinto che le banche centrali sapranno dosare miracolosamente le presse di stampa, o è in malafede o è tanto ingenuo da pensare che la riduzione di V sia strutturale e più corposa della multi trilionaria stampa di moneta avviata. L’inflazione futura in termini di prezzi al consumo, è del resto già preannunciata dai dati finanziari sopramenzionati, che stanno capovolgendo la situazione ben prima di quanto ci si attendesse. Non volerla vedere è proprio imperdonabile.
Ad un certo punto il livello dei prezzi al consumo inizierà di nuovo ad accelerare, perchè quando si pompano deficit statali multi trilionari ed al contempo si stampa moneta, inevitabilmente arriva il momento in cui i mercati obbligazionari e valutari si spaventano. Un trend insostenibile dura finché non si ferma: non si può predire quale sarà il giorno, il mese e l’anno, ma è assolutamente certo che le attuali politiche portano a quel punto. Un giorno succederà come a luglio 2007: qualcuno andrà a suonare il campanello d’allarme, e i partecipanti al mercato dei titoli di stato di colpo daranno importanza agli enormi deficit sottostanti, e inizierà la grande fuga, così come è iniziata quella dai titoli ipotecari nel 2007. Ciò per il semplice motivo che non si possono fare deficit multi trilionari senza limiti. Il debito può crescere anche velocemente, ma ad un certo punto l’economia deve iniziare a crescere ancora più velocemente , altrimenti i tassi d’interesse vanno alle stelle e la moneta si svaluta, ed è quello il momento in cui le banche centrali perdono il controllo, perché la soluzione politicamente più facile per impedire il default dei governi diviene stampare sempre più moneta, con la quale finanziare i bonds che il mercato non vorrà più. Ed ecco allora – nell’equazione sopracitata –  crescere sia M che V e per quanto possa esserci una maggior crescita anche di Q sarà inevitabile il balzo di P. Al momento si parla poco del rapporto tra il debito pubblico e il PIL,un giorno  di colpo campeggerà sulle prime pagine, e sarà accompagnato da un altro illustre assente: l’inflazione.  Nel frattempo godiamoci l’occasione offertaci di poter vendere titoli di stato e comprare materie prime a prezzi da grande affare.

MATERIE PRIME: crescita cinese
L’Agenzia internazionale per l’Energia ha previsto per il 2009 che la domanda globale scenda tra il 2 e il 3% rispetto al 2008. Si tratterebbe del primo declino in valore assoluto sin dal 1982. Per quanto concerne il petrolio il calo della domanda globale dovrebbe essere quasi nullo, venendo compensato il calo americano dall’aumento cinese. Il PIL cinese infatti, pur rallentato al +6% nel primo trimestre, resta in aumento in valore assoluto, anche se non si raggiungesse il livello previsto dal governo (+7,8%). Diversi indicatori (investimenti, consumi) stanno mostrando comunque segnali di miglioramento già da marzo, per cui è possibile un accelerazione nel secondo semestre dell’anno, il che comporterebbe automaticamente maggiori consumi energetici rispetto a quelli previsti. Il petrolio infatti sta ormai consolidando quota 50 dollari al barile, e potrebbe facilmente tornare in area 70 se i segnali macro di ripresa globale  verranno confermati nei prossimi mesi, trascinandosi appresso il gas naturale e gli altri energetici.
Si conclude con : petrolio a 51,5(giugno) gas naturale a 3,3(maggio) oro a 913(maggio) argento a 12,9(maggio) platino a 1173 (aprile) palladio a 233(giugno) rame a 207(maggio).

CAMBI: euro in recupero
L’indice del dollaro ha perso l’1,5% questa settimana a 84,7  (+ 4,2% da inizio anno). Ha perso praticamente con tutte le valute, sola eccezione la sterlina,  ipervenduta dopo la presentazione del progetto di bilancio del governo inglese, ritenuto non credibile dalla gran parte degli osservatori che si aspettano per il futuro deficit ben superiori. La debolezza del dollaro è derivata dalla riduzione della percezione del rischio generale, e quindi dal migliorato clima di fiducia generale.  I dati macro più importanti sono usciti venerdì, e gli ordini di beni durevoli sono scesi meno di quanto atteso, con alcune componenti in rialzo per il secondo mese e ciò ha favorito la borsa e quindi danneggiato il dollaro, che continua ad essere visto come un bene rifugio.
Ma la settimana è ruotata soprattutto intorno alla questione dei tests sullo stress delle banche americane, il cui processo  e le cui metodologie non sono certo esenti da critiche e da dubbi, ma in questa fase il mercato si beve qualsiasi cosa gli venga detta dalle autorità. Nello specifico, il ministro del tesoro USA ha dichiarato che le principali 19 banche hanno addirittura mezzi patrimoniali in eccesso, anche se ha riconosciuto che per il sistema nel suo complesso non mancano le aree di debolezza patrimoniale, perchè la recessione e le note turbolenze si sono mangiate parte delle riserve. Per cui il governo fornirà ulteriori aiuti di Stato, ma la dichiarazione che la maggior parte delle grandi banche non ne abbia bisogno è stata sufficiente per far prorompere un ondata di ottimismo tra i traders che hanno ricomprato azioni e strumenti rischiosi per festeggiare, recuperando quasi tutte le perdite di inizio settimana, e portando così il dollaro a ridiscendere. Venerdì inoltre il G7 ha confortato tutti confermando che vi sono segni di stabilizzazione.
In contropartita al dollaro è avvenuto quindi il recupero dell’euro che ha anche beneficiato di un sorprendente IFO  tedesco, con la fiducia delle imprese in netto recupero, e adesso le attese di calo dei tassi europei si sono azzerate, anche se le dichiarazioni degli esponenti della BCE continuano ad essere nel senso di ulteriori manovre di allentamento monetario. Gli indici di inflazione al consumo continuano a registrare – per effetto dell’energia – decrementi in vari paesi (questa settimana, Spagna, Portogallo, Irlanda) e ciò rafforza il partito della deflazione; comunque nei paesi più grandi come Gremania, Francia ed Italia l’inflazione resta positiva, ed al netto del petrolio è nei pressi del 2%.
L’eurodollaro ha quindi finito in rialzo ma sempre all’interno del range ormai in essere da tempo. Il recupero della borsa che ha adesso raggiunto il 30% dai minimi, ed è di poco sotto il livello di inzio anno, ha consentito una tenuta dell’eurodollaro in area 1,29-1,34 ma se e quando la borsa dovesse tornare a scendere, appare al momento più probabile che anche eur-usd possa tornare a scendere. A breve però la spinta è al rialzo ed è importante osservare la tenuta della resistenza a 1,34 che rappresenta un importante massimo da molto tempo ed è il 61,8% di ritracciamento dell’ultima  discesa da 1,3750 a 1,2880, una specie quindi di linea nella sabbia dal punto di vista tecnico.

OBBLIGAZIONI:  decennale quasi al 3%
Negli USA  i futures sul tasso a tre mesi scadenza dicembre 2009 quotano 1,33% (-5 cts. rispetto a 21 giorni fa), il libor a tre mesi è    al 1,08%(-8 cts.) e ad un anno al 1,93%(-1 cts.); i bot a 3 mesi   allo 0,12%(-10 cts.). I rendimenti dei bonds  a 2 anni  a 0,94%(+3 cts.); a 5 anni al 1,93%(+12 cts.); il decennale al 2,96% (+10 cts); a 30 anni al 3,88%(+15 cts.). Sale   il differenziale tra 2 e 10 anni  a 202 (+7 cts.). Fermi  i tassi sui mutui a tasso fisso trentennali (+2 cts.  al 4,8%)  e quindicennali(-4 cts. al 4,48) e quelli a tasso variabile ad un anno (+7 cts. al 4,82%). Fermi i differenziali sui bonds aziendali, in parallelo con la borsa, ed i rendimenti degli obbligazionari dei paesi emergenti, con i bonds brasiliani  al 6,37%  sul decennale (i messicani  al 6,1%), fermo anche  quello del decennale giapponese (1,42) .
Nonostante gli acquisti della Fed i titoli di Stato fanno fatica, anche perchè stanno venendo meno i flussi cinesi, le cui riserve valutarie-le più grandi al mondo – hanno avuto il loro incremento più basso in 8 anni: +7,7 miliardi a quota 1,9 trilioni alla fine del primo trimestre (alla fine del quarto 2008 erano salite di 40 miliardi).  Nel complesso i flussi di capitale verso gli USA mostrano acquisti netti da parte dell’estero di titoli a lungo termine per quasi 21 miliardi, esclusivamente per effetto dei privati (le banche centrali estere hanno ridotto di 5 miliardi). I cinesi in particolare hanno disinvestito per 14 miliardi tra titoli del tesoro e di Fannie e Freddie (calano in valore assoluto anche  gli investimenti diretti esteri in Cina: dopo aver concluso il 2008 con un record di +92 miliardi (+23%) nel primo trimestre 2009 sono scesi del 20% rispetto al fine marzo 2008).
In Europa  i  tassi euribor  scendono ancora:  ad un mese  al 1,01% (-7 cts.) a tre mesi al 1,41%(-5 cts.) ad un anno  al 1,79%(-4 cts.). I rendimenti sui bund tedeschi in ribasso sul 2 anni al 1,38%(-13 cts.) e   sul decennale al 3,19% (-3 cts.) per cui aumento del  differenziale tra 2 e 10 anni (+181 cts.) che resta però inferiore a  quello americano,perchè  il differenziale con i bonds USA è sceso  a +23 cts. per il bund sul decennale mentre si mantiene maggiore quello  sulla scadenza a due anni (+44 cts.)  sempre a favore del bund.

BORSE: dopate
Il mercato ribassista iniziato ad ottobre 2007 sta esprimendo la miglior fase di rigonfiamento finora avuta. Più precisamente il mercato borsistico pare avviato a ripetere la stessa performance messa a segno durante il crash degli anni 30,  più volte illustrata. Dopo due fasi di discese in cinque ondate, si è conclusa a marzo la prima grande caduta a quota 667 di sp500, durata 18 mesi. L’attuale  non è altro che il rimbalzo intermedio da tempo pronosticato e che – se ripete il suo precedente storico sopra citato – ha un potenziale del 50%, a quota 1100 di sp500. Finora il rally è stato del 31% pari a 209 punti, ed è avvenuto in un mese e mezzo. Se il 50% di ritracciamento si dovesse applicare anche alla durata, il rimbalzo potrebbe durare ancora sette mesi circa, fino a ottobre 2009 facendo gli altri 230 punti in questo frattempo, tra zig-zag vari.
La forma di un zig-zag è stata infatti quella che ha caratterizzato la A primaria (ottobre 2007-marzo 2009) e analoga forma potrebbe svilupparsi adesso in questa B, magari con una struttura meno complessa e una durata più breve (5-6 mesi). Le correzioni tendono ad essere di norma più intense e rapide, ci potrebbero quindi essere tre onde , ognuna suddivisa in tre sub-onde al proprio interno. Il rialzo iniziato il 6 marzo a 667  ha espresso una prima onda conclusasi il 26 marzo a quota 833, poi vi è stato un ritracciamento a 780 conclusosi il 30 marzo, quindi il rally da 780 a 876 che ha formato la conclusione della prima onda maggiore rialzista(A). Dopodichè è iniziata la seconda correttiva(B) che è arrivata fino a 823  e che questa settimana ha visto esprimersi la sua gamba rialzista tornata fin quasi al livello di partenza. La fascia 780-880 potrebbe contenere le oscillazioni ancora per parecchio tempo, estendendosi al rialzo fino a 940 (il massimo del 5 gennaio).
Si conclude con Dow a 8076 -0,7% ( -8% da inizio 2009) SP500 a 866 -0,4%(-4%) Nasdaq100 a 1373 +1,5%(+13%)Russell +0%(-4%) Trasporti +1,4%( -11%) utilities -2,1% (-14%) semiconduttori -0,6% ( +20%) Broker -0,5%( +19%) Banche -7%( -22%).Il rapporto tra put e call fermo a 0,83 e  l’indice della volatilità VIX scende  a 37.
Il Nikkey giapponese  a 8708 -2,2%(-1,7% da inizio 2009),  il Dax a 4675 +0%(-2,9%)  il cac francese a 3103, il footsie inglese a 4156 spmib a 18650 e mibtel a 14823 +4% (-1%). Tra gli emergenti: Brasile +1,6%(+25%) Russia -0,7% (+31%) India +2,8%(+17%) Cina -2%(+35%).

PREVISIONI:  FED e PIL
La prossima settimana, le condizioni fondamentali promettono di essere ben più complicate, il che può generare livelli di volatilità più spinti. Per farsi un idea di ciò che potrà muovere i mercati, conviene andare per ordine di importanza dei singoli eventi, distinguendo tra quelli che avranno un impatto decisivo ed immediato e quelli che invece serviranno a orientare il clima generale. Rientrano nella prima categoria la stima del PIL americano tra gennaio e marzo, e il comunicato della FED; nella seconda, le varie previsioni e il flusso degli utili delle aziende. Ciò vale per le borse e quindi per il dollaro data la sua correlazione inversa che per ora tiene banco. Le previsioni ufficiali, nonostante il recente miglioramento nei toni, si basano ancora su una debole ripresa per fine anno, e sull’avvertenza che i titoli tossici restano una minaccia seria. Andando avanti, i mercati oscilleranno in base agli spostamenti del pendolo tra ottimismo e pessimismo nei comunicati in arrivo da parte del FMI e delle altre istituzioni globali. Per la borsa saranno più importanti i risutati delle comunicazioni aziendali sul primo trimestre e le attese delle aziende per il futuro. Per ora sembra  siano stati entrambi miglori del previsto, ma non è che  si possano  trarre conclusioni sostanziali; le aziende stanno ancora chiaramente annaspando tra calo dei fatturati e riduzioni delle linee di credito, mentre i bilanci sono in rosso. Questo è un punto particolarmente importante per il settore finanziario e per le 19 banche sottoposte allo stress test; in fondo, la dichiarazione che “la maggior parte” delle banche è ok, implica che ce n’è qualcuna che invece non lo è e che potrebbe dunque fallire.
Per quanto concerne il comunicato della Fed di mercoledì sera  l’attenzione sarà rivolta come al solito al dosaggio usato tra deflazione e segnali di stabilizzazione. Conterà maggiormente l’anticipazione di qualche ora prima sul PIl, anche se suscettibile di revisioni future che potranno poi stravolgerne il significato. Tutto l’attuale ottimismo potrebbe trovare sostegno da un dato meno pesante di contrazione del PIL, e viceversa. Si aspetta un -5% e dunque non è difficile far uscire una sopresa “postiva”.Arrivano molti dati anche dall’ Europa, con i suoi indici di fiducia e dei prezzi al consumo, nonchè con l’andamento dell’occupazione. Il recente IFO ha mostrato un miglioramento, e molti aspettano di vederlo confermato da altre fonti. Per i prezzi, se l’inflazione resta decisamente superiore a quella americana, si confermerebbero le attese su una politica relativamente meno espansiva da parte della BCE con inevitabli effetti sull’eurodollaro.Ma oltre all’nflazione gioca un ruolo sempre più importante anche l’andamento della disoccupazione, e i dati di venerdì -in caso di netto peggioramento- potranno mettere sotto pressione la BCE in vista della decisione della settimana successiva. I politici infatti continuano a chiedere che la banca centrale si metta anche lei a stampare moneta e a comprare i titoli di stato: ogni segnale in questa direzione metterà in difficoltà l’euro.

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