"Il mio Festino da innamorato" - Live Sicilia

“Il mio Festino da innamorato”

Intervista al gip Morosini, palermitano adottivo
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Un antidoto contro i mali della città. Tanto potente da abbattere per
una notte le distinzioni di classe ed offrire una speranza di cambiamento. Ecco cosa scorgono nel Festino di Santa Rosalia gli occhi di uno “straniero” come il gip di Palermo, Piergiorgio Morosini. Originario di Rimini, 45 anni, era “un giovane alle prime armi” quando, subito dopo le stragi, nel 1994, è arrivato nel tribunale del capoluogo. Dove ha emanato importanti sentenze contro i vertici di Cosa nostra.

A Palermo non si giunge mai per caso…
“No. La mia, come quella di altri colleghi in quel periodo, è stata una scelta precisa. Sono arrivato qui a 29 anni, ero alle prime armi. Volevo fare un’esperienza e per me Palermo, in quegli anni molto caldi, era un luogo simbolo, ma poi…”.

Si è innamorato?
“Questa terra, con i suoi paesaggi, la sua cultura ed il suo clima mi ha affascinato. Sono rimasto perché ho scoperto che il mio modo di vivere e di sentire, i miei tempi, sono molto più palermitani che romagnoli”.

Il primo Festino se lo ricorda?
“Sì, è stato nel 1994, vivevo in piazza Bologni e la festa, la sua manifestazione popolare, mi ha addirittura impressionato. Dai fiumi di persone gioiose che invadevano le strade ho capito che il Festino era la festa di tutti, senza distinzioni di classe”.

In che senso?
“Secondo me, serve ad esorcizzare i mali contingenti della città ed è un momento magico di rinnovamento e cambiamento. In questo mi riconosco molto. Il Festino contiene in sé la speranza, come se svegliandosi il 15 ci fosse per tutti la possibilità di cambiare le cose. Per tutti, perché tutti si identificano in questa festa, dai più ricchi ai più poveri, e vengono meno le differenze che bloccano la circolazione di idee, uno dei mali peggiori di questa città. Ecco,
vedo il Festino come un antidoto”.

Ma non tutti saranno per strada, non tutti mangeranno babbaluci…
“Certo, ci sarà chi si godrà lo spettacolo comodamente seduto su una terrazza, magari con una granita in mano. Chi seguirà la festa in tv. Ma molte persone che appartengono ai ceti più abbienti e culturalmente attrezzati, mi creda, hanno voglia di camminare in mezzo a questa folla e lo faranno”.

Lei cosa farà?
“Questa è una festa da vivere all’aperto, per strada appunto. Ed è lì che sarò, a camminare nel cuore della città”.

Facendo due conti, questo è il suo quindicesimo Festino. Cos’è cambiato negli anni? Quella speranza di rinnovamento si è effettivamente concretizzata?
“Bè, la forza propulsiva era sicuramente più forte negli anni Novanta, subito dopo le stragi. Oggi mi sembra ci sia una maggiore assuefazione, ma molte cose sono cambiate ed i segnali arrivano dall’imprenditoria oppure dal lavoro delle associazioni antiracket. Parlando con la gente, con i palermitani, poi sento una certa indignazione, che è la molla di ogni cambiamento. La speranza e la voglia, per esempio, di recuperare quartieri, zone degradate, sono vive. Spesso i palermitani vengono dipinti molto più rassegnati di quanto siano in realtà”.


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