"Lombardo e Micciché | esprimono il peggio dell'Isola" - Live Sicilia

“Lombardo e Micciché | esprimono il peggio dell’Isola”

Il giornalista e scrittore catanese: "Quale serietà possono avere personaggi che si sono insultati per quattro anni, accusandosi reciprocamente di tutto e poi riscoprono un 'comune sentire'? Usano l’autonomia per perseguire i propri interessi"

Intervista ad Alfio Caruso
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7 min di lettura

Ci sono latitudini in cui i colori sembrano più vividi, gli odori più persistenti, i sapori più ricchi. Fra il bene e il male, l’eroismo e la viltà, il dono e il furto, non si scorgono gradazioni, mezze tinte. O forse le sfumature mancano al linguaggio che noi usiamo per descrivere quelle realtà? Alle nostre categorie interpretative? Al nostro gusto della parola che definisca e scolpisca, una volta e per sempre? Parliamo di Sicilia, come spesso. E della sua (mala)politica, più maleodorante che altrove. Ne parliamo con Alfio Caruso, giornalista e scrittore catanese. Della Sicilia, nel suo libro I Siciliani (Neri Pozza 2012, euro 15,30), Caruso racconta una sessantina di “figli della Storia” – da Federico II a Ettore Majorana – pur restando convinto che lei – la Storia – i Siciliani continui a respingerli, negando loro il centro del proscenio cui essi tenacemente ambiscono. Mentre economisti e politologi evidenziano la fragilità e i forti limiti delle autonomie in tempi di ristrutturazioni dei bilanci nazionali, la Sicilia si muove in senso opposto e riparte dall’autonomia, con spirito di aperta contrapposizione rispetto al “governo di Roma” .

Lombardo e Micciché tornano a dare voce, fondando un partito stavolta, a pulsioni sicilianiste. Queste rivendicazioni hanno un’idea di sviluppo economico alla base o sono soltanto il tentativo di dare peso politico a cordate elettorali? Esiste un bene comune siciliano?

“Ammesso che esista, nessuno lo ha mai perseguito. Micciché e Lombardo esprimono il peggio della Sicilia da quando imperversa l’autonomia. Il migliore del lotto era Cuffaro – in carcere per favoreggiamento alla mafia – e le lascio immaginare che cosa siano gli altri, la dannazione della Sicilia! Dieci anni fa – nel libro “Perché non possiamo non dirci mafiosi” (Longanesi 2002, euro 8,50) – scrissi che in Sicilia non esiste centro, destra, sinistra. Sono soltanto sigle, apparenze. Esiste soltanto il PUS, il Partito Unico Siciliano, i cui aderenti sono onorevoli, borghesi, mafiosi, che vi militano per il proprio tornaconto. Li cementa l’appartenenza alle logge massoniche, il disprezzo per i siciliani e il culto dei propri interessi. Ogni tanto vengono fuori straordinari personaggi che si riscoprono vergini e fanno prediche alla luna su programmi già cancellati dalla storia. Lombardo e Micciché sono espressione adamantina del PUS: quale serietà possono avere personaggi che si sono insultati per quattro anni, accusandosi reciprocamente di tutto e poi riscoprono un “comune sentire”? Usano l’autonomia per perseguire i propri interessi, mi ha fatto ridere vedere Micciché che cercava di spiegare il suo progetto autonomistico, lui che è stato protagonista dello sfascio!

Che cosa non ha funzionato negli ultimi decenni di gestione dell’Autonomia? O forse l’Autonomia non ha mai funzionato?

“L’Autonomia non ha mai funzionato perché è stata interpretata come via breve per farsi i fatti propri. Ma, attenzione! I siciliani non sono vittime: hanno votato, hanno acconsentito alla propria spoliazione e delegittimazione. L’Autonomia Siciliana in realtà nasce da un imbroglio: nel 1946 gli onorevoli siciliani, esponenti della Democrazia Cristiana, convinsero De Gasperi che la Sicilia sarebbe esplosa, che i separatisti erano sul punto di provocare una ribellione. Viceversa a quella data il movimento indipendentista siciliano ormai non esisteva quasi più, per ordine degli Stati Uniti. A salvare l’unità fu il presidente americano Roosevelt, che aveva stabilito che l’Italia sarebbe rimasta tale e quale e Cosa Nostra, che ubbidiva agli Americani, si era distaccata dal movimento indipendentista siciliano. Fu invece l’impero britannico a sperare in un distacco – gli Inglesi sognavano un Commonwealth mediterraneo con Cipro, Malta e la Sicilia – e a sostenere l’autonomismo”.

C’è un’analogia con quanto accade oggi? L’Autonomia brandita come spauracchio per ricattare i governi nazionali?

“L’autonomia data da De Gasperi è fuori dalla Storia. Basti dire che neppure Bossi nei suoi deliri federali si è spinto a tanto. Lo Statuto speciale concede al governo della Sicilia di battere moneta, di avere diritto a un proprio corpo di Polizia e d’istituire l’alta Corte di Giustizia, di riscuotere la quasi totalità delle tasse, d’interloquire sul credito e sulle banche. Poi, per evitare che i governi regionali ne usufruissero appieno, Roma ha accettato di finanziare a fondo perduto le casse regionali. Siamo sempre lì: l’assalto alla diligenza!”

Periodicamente i media parlano di Sicilia. Ultimamente, i giornalisti usano il mezzo stilistico dello straniamento e parlano della politica siciliana come se parlassero di usi e costumi di tribù melanesiane: ho ascoltato un giornalista su una tv nazionale dire che faceva fatica a calarsi nella psicologia dei Siciliani, con un corruccio pensoso che neanche Levi-Strauss ai tristi tropici! Lei ha affermato: “ritengo che sia quasi impossibile raccontare ciò che i siciliani siano e ovviamente lo dico da siciliano”. Non c’è un po’ di artificio in queste rappresentazioni?

“Si metta nei panni di chi guarda la Sicilia da 500 km di distanza: non appariamo normali! Cosa vedono da lontano? Vedono che i siciliani votano un signore che li ha affamati, che è il principale autore dell’attuale dissesto, che ha cambiato maggioranza varie volte pur di restare in sella. L’impressione è che i Siciliani a ogni elezione puntino a ricavarsi una fettina della torta, cioè andare in pensione a 45 anni, godere di sussidi e di favoritismi, pretendere sempre e dare poco, molto poco in cambio. Adesso, però, tali privilegi cozzano con la realtà economica. Sembriamo un popolo disinteressato al bene comune. Anche altrove si vota per il proprio tornaconto, ma non è la regola per tutti: esistono minoranze che ancora inseguono il bene comune. L’impressione è che invece in Sicilia siamo sempre al familismo sciasciano. Le rivoluzioni continuano a progettarsi per la propria bottega”.

Lei ha detto recentemente che i Siciliani sono “scettici e cinici perché hanno imparato che tanto non cambierà nulla” e che “Il destino della Sicilia è ovviamente in mano all’ignavia dei siciliani, anzi il destino della Sicilia è segnato, ahimè e ahinoi, dall’ignavia dei siciliani che hanno sempre trovato finora più utile accordarsi con i viceré che hanno comandato nell’isola, piuttosto che cercare livelli di vita migliori”. Tutti abbiamo pensato queste cose ma poi, siccome occorre vivere, racimoliamo un po’ di energie. Ci addormentiamo Principi di Salina, ma al mattino, se vogliamo alzarci dal letto, dobbiamo svegliarci piemontesi e, allora, il discorso dell’ignavia risulta frenante e opprimente.

“Io temo che in Sicilia mai sia stato il tempo dei gattopardi, ma, al contrario, sia sempre stato il tempo delle iene e degli sciacalletti. Siamo l’isola invasa da tutti e vinta da nessuno per la nostra incapacità di sentirci Stato, di far parte di una comunità. Lei ha ragione nel dire “Primum (sopra)vivere deinde philosophari”. Tuttavia in questa rassegnata accettazione si consuma il dramma della nostra povera isola!”

In Sicilia, lei ha detto, “le teste non sono mai rotolate nell’inseguimento di un bene supremo, la Sicilia non ha mai avuto un Masaniello (…) si è sempre seguito il tornaconto personale”. Questo tornaconto personale finora è stato in attivo perché l’Italia ha pagato. Che succederà quando l’Italia non avrà più un Euro da dare alla Sicilia? La rivoluzione?

“Sarebbe persino augurabile! Che per una volta la Sicilia scoprisse che può esistere, che c’è un bene comune. In Sicilia le teste sono sempre rotolate perché i braccianti desideravano diventare massari, i massari gabellieri, i gabellieri proprietari, i proprietari acquisire i privilegi dei latifondisti. Non c’è stato paesino in cui la mafia e la massoneria non fossero comandate dal notaio, dal farmacista, dall’avvocato. La borghesia siciliana, con poche eccezioni, è sempre stata mafiosa”.

L’incapacità della politica a dare risposte adeguate sta producendo quella che molti definiscono “antipolitica”: penso al movimento 5stelle, soprattutto. Lei ha scritto di recente un pezzo per il blog di Grillo: pensa che i siciliani possano votare il candidato di Grillo per la presidenza della Regione?

“Io non la chiamerei antipolitica, bensì antipartitismo. I siciliani hanno votato tali facce di bronzo che magari con il Movimento 5 stelle può anche capitare di votare una persona perbene”.


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