Abusi, annullata la condanna | per padre Paolo Turturro - Live Sicilia

Abusi, annullata la condanna | per padre Paolo Turturro

Padre Turturro

La Cassazione ha annullato la condanna di padre Paolo Turturro. Prescrizione per l'accusa principale.

SALVATO DALLA PRESCRIZIONE
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PALERMO – Una condanna a sei anni e mezzo annullata per prescrizione. E un processo da rifare in appello per rideterminare la pena, ma solo per l’episodio meno grave. La Corte di Cassazione si è pronunciata su Padre paolo Turturro, il parroco della chiesa di Santa Lucia, nel popolare quartiere palermitano di Borgo Vecchio. L’accusa è pedofilia.

I supremi giudici hanno annullato senza rinvio, e quindi definitivamente e solo per prescrizione, la sentenza d’appello che riguarda il presunto rapporto sessuale a cui il parroco avrebbe costretto un ragazzino. Dovrà, invece, essere celebrato un nuovo dibattimento per le attenzioni morbose, compreso dei baci sulla bocca, e i giudici di secondo grado dovranno rideterminare la pena. Non è una cosa di poco conto. Per questo secondo reato Padre Turturro è stato condannato a sei mesi in continuazione con i sei anni che gli sono stati inflitti per l’episodio più grave, ora caduto per prescrizione. Questo significa che il sacerdote quasi certamente eviterà il carcere.

L’accusa di pedofilia è di quelle infamanti per tutti, figuriamoci per un prete. Un prete antimafia che per il suo impegno contro i boss di Palermo era finito sotto scorta. Le accuse erano arrivate dai bambini del quartiere. Alcuni in aula ritrattarono, due di loro puntarono, però, il dito contro il sacerdote. Due ragazzini tra i dieci e dodici anni dissero di essere stati vittima, fra il 2000 e il 2001, delle attenzioni morbose di padre Tuturro, nei corridoi della parrocchia e nella colonia di Baucina dove ha sede l’associazione “Dipingi la pace”.

Nel ricorso in Cassazione gli avvocati Ninni Reina e Vincenzo Gervasi, oltre a smentire che gli abusi sessuali fossero mai avvenuti, hanno puntato molto sulla collocazione temporale degli episodi. In particolare, su quanto riferito dal ragazzino che disse di avere avuto un rapporto completo con il sacerdote. La datazione dell’episodio, però, non era stata precisa. E così, come sostenuto dai legali della difesa, per calcolare la prescrizione bisognava partire dalla prima data citata nei ricordi della presunta vittima. E cioè il 1999, quella più favorevole all’imputato. Conti alla mano, dunque, il reato si prescriveva in dodici anni e mezzo. Un tempo ormai trascorso. Da qui l’annullamento senza rinvio della sentenza.

Nel merito resta la convinzione dei legali che il sacerdote gli abusi non li abbia mai commessi. Gli avvocati Reina e Gervasi lo avevano ribadito nel ricorso contro il giudizio di appello, sostenendo che “tutta la motivazione della sentenza è un esempio di pensiero circolare che parte dall’assunto, tutto da dimostrare, che i minori siano stati realmente abusati, per poi giustificare le incoerenze dei loro racconti, le macroscopiche illogicità, i mancati riscontri oggettivi e le smentite di altri testi, con il ricorso a presunti meccanismi psicologici relativi all’esperienza traumatica subita dai minori che li porta a raccontare “incredibili fantasticherie” ed “episodi oggettivamente inverosimili”. Come dire, se il bimbo è stato abusato è normale che il suo successivo raccontato sia stato turbato dall’esperienza vissuta. Nulla di più falso per la difesa, secondo cui “i racconti dei minore si prestano a non poche osservazioni che ne mettono seriamente in discussione l’attendibilità”.

 

 


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