Centro Astalli, una porta aperta| ai bisogni dei migranti - Live Sicilia

Centro Astalli, una porta aperta| ai bisogni dei migranti

Il Centro Astalli

Presente dal 2004 a Palermo, il Centro Astalli Onlus è un'associazione che si rivolge ai migranti che vivono le difficoltà quotidiane dovute alla naturale situazione di emergenza riscontrata appena giunti in Italia. Al Centro abbiamo incontrato tre donne che hanno raccontato la loro storia e i loro rapporti con il Centro.

L'ATTIVITA' DI VOLONTARIATO
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PALERMO – L’Associazione “Centro Astalli Onlus” nasce a Palermo dal naturale sbocco di un’attività di volontariato a favore dei migranti, consistente in una scuola di lingua italiana operante dal 2004 presso il Cei, Centro Educativo Ignaziano, di via Pier Santi Mattarella, ad opera di un gruppo di giovani professionisti di una Comunità di Vita Cristiana. Nel 2006 è stata aperta una seconda sede operativa nei locali di Piazza S.S. 40 Martiri, nel cuore del centro storico della città.

Abbiamo parlato con Alfonso Cinquemani, Presidente del Centro Astalli Onlus, per capire com’è nata questa struttura, a chi si rivolge e quali sono i bisogni effettivi degli utenti. “La prima sede – spiega Cinquemani – è operativa nel pomeriggio dei giorni dispari. La seconda sede, nata alla fine del 2006 in un punto strategico – il quartiere Ballarò – è stata aperta perché avevamo vinto un bando della Provincia come sportello multifunzionale per gli immigrati.  Abbiamo potuto ampliare così la struttura anche perché era evidente che i bisogni degli utenti non si limitavano soltanto alla scuola d’italiano”. Il Centro Astalli si rivolge principalmente ai migranti richiedenti asilo politico, rifugiati temporaneamente o stabilmente presenti nella Provincia di Palermo. L’utenza proviene da diverse parti del mondo, con una prevalenza di Ghana e Bangladesh – leggiamo in un report mostratoci dal Presidente del Centro – e presenta difficoltà e fragilità dovute al disorientamento di chi è appena giunto in terra straniera o ai problemi legati ai bisogni di sopravvivenza (casa, lavoro, necessità economiche o familiari) nel corso della permanenza in Italia.

La sede di via S.S. 40 Martiri gode di un centro di accoglienza diurno. Ciò dà la possibilità sia ai cittadini di dare il loro contributo libero e sentirsi parte di una società che si mostra vicina al bisogno di chi vive ai margini di essa, ma soprattutto ai migranti di trovare un supporto per affrontare le difficoltà della vita quotidiana nella loro situazione di emergenza. In esso sono attivi un centro di ascolto, un servizio di distribuzione di vestiario e di colazione mattutina, un ambulatorio medico, un servizio di consulenza legale, uno sportello-lavoro e un servizio di docce e lavanderia. Il centro, secondo un report effettuato nell’ottobre 2012, conta 5200 utenti, con un aumento del 18% nel 2012 rispetto agli anni precedenti. A esso si rivolgono circa 30 persone al giorno, 900 in un mese.

Per accedere ai servizi del Centro di Accoglienza diurno basta essere uno straniero non appartenente alla Comunità Europea e temporaneamente presente sul territorio palermitano. “Uno dei problemi fondamentali nel rapporto con i migranti non è tanto quello di far valere i loro diritti, ma di educarli ai loro diritti”, spiega Alfonso Cinquemani. Diritti che forse non sapevano di possedere Lutfa Begun, Mahamuda Akter e Fatema Begun, tre donne provenienti dal Bangladesh e in Italia ormai da diversi anni.

Storie simili. Stesso sguardo malinconico. Stessa ricerca costante di aiuto. Lutfa Begum è entrata nella stanza in cui ci siamo fermate a chiacchierare insieme alla cognata, Mahamuda Akter. Lutfa, a Palermo da vent’anni, parla bene l’italiano. In Bangladesh ha lasciato tutto il resto della famiglia. Racconta che prima si trovava bene a Palermo. Lavorava come badante presso una signora e riusciva a vivere dignitosamente. Dopo la morte dell’anziana non è riuscita più a trovare lavoro. Racconta di avere un bambino di 8 anni, nato proprio quando ha perso il lavoro. Ora che il bimbo è grande continua a non trovare di che vivere. Lutfa dice di voler provare a raggiungere alcuni parenti in America. Suo marito, però, non vuole: ama molto questa città, si sente quasi a casa e ha paura che se si sposterà di nuovo non riuscirà a ricominciare. Ricominciare: una parola già troppo nota ad un migrante.

Lutfa ha conosciuto il Centro Astalli tre anni fa perché degli amici le hanno detto che esisteva un posto in cui aiutano a trovare lavoro, danno da mangiare, dei vestiti da indossare. “I volontari sono molto bravi – racconta Lutfa – mi aiutano sempre. Ma è difficile, è troppo difficile, senza lavoro. Mio marito lavora solo tre volte alla settimana. Riusciamo a pagare l’affitto ma non la luce, l’acqua”. Un velo di tristezza compare sugli occhi di Lufta quando parla di suo figlio: “Qui al centro ci danno pasta, biscotti, riso. Ci aiutano ma non possono darci tutto. Mio figlio vuole la pizza. Io non ho i soldi per comprare la farina. E il bimbo piange”.

Lutfa chiede se chi ha di fronte può trovarle un lavoro, se può aiutarla. E’ dura doverle rispondere di non avere i mezzi per farlo. Prende, poi, una richiesta medica dalla borsa. E’ di suo figlio. Me la mostra. “Come dobbiamo fare se stiamo male e non abbiamo i soldi per le medicine? Possiamo solo morire”, si chiede Lutfa. A questo punto arrivano i volontari, chiamano Lutfa e Akter. E’ il loro turno. Il medico del Centro Astalli le riceverà. Solo così potranno avere quelle medicine gratuitamente.

Fatema Begum si alza di scatto alla richiesta di raccontarsi, sebbene parlare con lei sia un po’ più difficile e non sempre ci si riesca a capire. Fatema spiega che è a Palermo da tre anni e tre mesi ed è arrivata col marito. Lui lavora, fa le pulizie. Ma questo non basta. Qui è nato suo figlio, il bambino di due anni che stringe tutto il tempo a sé. Quella stretta dimostra che è una delle sue poche certezze. Fatema racconta di recarsi al Centro Astalli solo quando ha bisogno. Sorride imbarazzata nel dirlo. In Bangladesh sono rimasti i suoi genitori e quelli del marito. Li sente telefonicamente.

Fatema cerca lavoro. Cerca lavoro per sé, per dare da mangiare al figlio, per far pervenire soldi alla sua famiglia. Sua sponte Fatema racconta che il biglietto per arrivare a Palermo le è costato caro, ottocento euro. Vuole farmi capire che le piacerebbe tornare in Bangladesh per vedere i suoi familiari. Ma non può farlo. Anche i suoi occhi sembrano voler chiedere aiuto. Anche stavolta gli occhi di chi ha di fronte le devono rispondere con tristezza che non sanno come fare.


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