Lo sbarco delle navi al porto |I bambini invadono Palermo - Live Sicilia

Lo sbarco delle navi al porto |I bambini invadono Palermo

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

La commemorazione del ventunesimo anniversario della strage di Capaci ha avuto inizio con l'arrivo delle navi della legalità.

La manifestazione
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PALERMO– “Un euro. Grazie, dottore”. Per cominciare la giornata sacra dell’antimafia, è necessario dare un obolo al posteggiatore abusivo. Se uno ha fretta e non può “prendere la questione”. Profilo conosciuto. L’uomo che chiede una moneta era bambino, anni fa. Ascoltava in prima fila le prediche legalitarie di padre Paolo Turturro, con un faccino compunto. E’ cresciuto. Dal mare, due navi a motore, aiutate dalle vele: le immagini di stoffa di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, increspate dal vento di Palermo. Vengono qui per permettere lo sbarco di migliaia di bambini arrivati da Civitavecchia e Napoli. Minuscoli pirati. Corsari della speranza.

Anche per chi tante ne ha viste, lo sbarco delle navi della legalità, nel ventunesimo anniversario del martirio di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani è un’occasione di sentimento e riflessione. Commozione inaudita fra i tricolori di altri piccoli bimbi palermitani, che aspettano i coetanei al porto. Morso del pensiero, nel ricordare il dato pungente: non c’è memoria, senza verità. I barconi si avvicinano. Si scorgono nitidamente i passeggeri che fanno ciao con la mano, ricambiati dalla folta pattuglia terrestre che li attende. Il viaggio era a rischio. Per le pessime condizioni del tempo si è temuto il peggio. Si è temuto, cioè, un anniversario di soldi adulti, di sole istituzioni, di soli reduci di qualche cosa: di un dolore autentico, di una fama usurpata. Per fortuna i pirati in miniatura giungono a destinazione.

Man mano che il minuto dell’attracco si avvicina, si compie una specie di ritorno a casa dei due giudici massacrati con affetti, scorte e speranze. Nello striscione che lo raffigura, Giovanni Falcone ha il solito cipiglio attento, parabrezza esistenziale di una fantastica ironia. La toga. Gli occhiali. L’espressione come per dire: desidera? Paolo Borsellino è in borghese. Col caldo sorriso che lo ha reso “Zio Paolo”, oppure “Paolo” per generazioni di figli e nipotini non di sangue, ma di amore. E se qualcuno crede che i 23 maggio o i 19 luglio siano inutili, quando il ricordo è parata della retorica, forse non ha tutti i torti. Però c’è un seme di felicità che si pianta puntualmente. Magari, prima o poi, germoglierà.

Le navi sono qui. Il carico si sparpaglia sul molo. Mentre il coro della polizia municipale canta e le note dell’inno di Mameli ci spiegano che siamo davvero “Fratelli d’Italia”, anche se non gioca la nazionale. Il viaggio è stato faticoso. Apre la fila, il presidente del Senato Pietro Grasso. A Palermo, lo chiamavano confidenzialmente “Piero”. La carica istituzionale ha aggiunto una “t” che poi compone il suo vero nome. Pie(t)ro Grasso era un sincero amico di Giovanni Falcone. Si conobbero ai tempi del maxi-processo, quando il giudice di Capaci mostrò i faldoni al collega nominato giudice a latere, per spaventarlo col solito umorismo falconiano, capacissimo di scandagliare in profondità. E Piero, cioè Pietro, non si spaventò. Il loro rapporto nacque lì.

Sul palco con le autorità, c’è Maria Falcone, con Nando Dalla Chiesa e Luigi Ciotti. I bambini invadono Palermo. E’ tempo di sciamare verso l’aula bunker, è tempo di tornare alla macchina, fendendo il caos del traffico. Un tale in motorino ringhia: “Che buddellu cu ‘stu Falcone”. E non è dissimile dai condomini di via Notarbartolo che inviavano lettere piccate ai giornali, per protestare contro lampeggianti e scorte. Il posteggiatore abusivo ride e ringrazia. Una volta era un bambino.

 


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