Fuori dall'esame di dottorato |Per cosa ho pagato 100 euro? - Live Sicilia

Fuori dall’esame di dottorato |Per cosa ho pagato 100 euro?

Una laureata scrive a LiveSiciliaCatania per manifestare perplessità sui criteri di valutazione adottati dall'Università etnea. Riceviamo e pubblichiamo.

 

LETTERA IN REDAZIONE
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5 min di lettura

La delusione per non essere stati ammessi ad un esame di dottorato è inevitabile: per quanto ormai si faccia domanda per un bando con fare atarassico, per quanto ci si prepari sempre alle scarse possibilità di successo, senza voler smettere di combatterle, la delusione fa capolino, inaspettatamente.

Ancor più quando alla delusione si sommano una serie di sentimenti, che si identificano pian piano col passare delle ore dalla pervenuta notizia dell’”insuccesso”.

Certo però… l’Università di Catania ha pubblicato i risultati della valutazione dei titoli il venerdì pomeriggio, per l’ammissione ad un esame del lunedì mattina. Ho comprato dei libri per prepararmi sul vago e onnivoro argomento, ho studiato senza sosta, dalla scadenza della domanda, l’undici novembre, al pervenuto annuncio online, il ventidue novembre (pomeriggio).

Certo però… dovendo selezionare solo poche persone, senza limiti di età, il bando creava una concorrenza per certi versi sleale, per quanto assolutamente legittima. Con i tempi che corrono, le persone a gareggiare per questo dottorato finiscono con l’essere quelle persone che per il numero elevato di pubblicazioni scientifiche (dettaglio al quanto decisivo nell’accumulo del punteggio finale) e per l’esperienza e collaborazione all’interno dell’Università, dovrebbero già essere “sistemate” da tempo, avere un ruolo ad hoc, essere arrivati ad un determinato status accademico. Eh no, non sono questi i tempi. Gli entusiasti e volenterosi neo laureati hanno chiaramente da mettersi in fila, perdono anche l’orientamento tante sono le file per le quali sono in coda. Con delle domande tanto d’eccellenza presentate al bando, non è facile che a molti si attribuisca il punteggio necessario a passare all’esame scritto (per non parlare dell’esame completo).

Certo però… sui quaranta punti nella valutazione dei titoli, alcuni pensieri vengono a galla. Parecchio irritanti a dire il vero. Sovviene una domanda: i cento euro per presentare l’istanza al bando di dottorato, sono serviti alla valutazione dei titoli? Pertanto essendo stati poco meno di una cinquantina i partecipanti, ed essendone passati solo nove all’esame scritto, quasi quaranta persone hanno pagato cento euro per una valutazione dei titoli? L’unico punteggio ufficialmente discrezionale è stato quello relativo alla valutazione del progetto di ricerca, valutazione di non poco conto. A tal proposito mi sovviene un’altra domanda: a nessuno è venuto in mente di mettere una più precisa tabella valutativa nel bando, con tanto di attribuzioni specifiche a titoli ed esperienze in curriculum ed ai vari attestati richiesti, per permettere un’autoselezione ai candidati in merito alla loro idoneità al concorso, lasciando che il voto attribuito dalla commissione al progetto si sommasse ad un punteggio finale?

Per cosa esattamente ho pagato cento euro?

Certo però… cento euro non sono pochi. I genitori sono ormai meccanicamente abituati a sborsare finanziamenti ai figli disoccupati, e dove questo non sia possibile i figli sono ormai abituati a raccogliere e spendere cifre a caso senza soffermarcisi troppo, per raggiungere quello che vogliono. A soffermarcisi però verrebbe da notare che a Palermo, per il bando consorziato con Catania, l’Università richiede cinquanta euro agli aspiranti dottorandi per le spese concorsuali; in Calabria undici euro; a Messina, nulla.

Navigando in cattive acque da molto tempo, difficilmente si fa caso ad una medusa. Il ritardo vergognoso di un ufficio universitario, che comunica il venerdì pomeriggio l’ammissione ad un concorso del lunedì mattina, dopo tanti anni da studente non è argomento buono neanche per una chiacchiera tra colleghi, ormai. Lo spazio striminzito concesso ai neolaureati, schiacciati da generazioni che attendono da troppo tempo il rendiconto del loro lavoro (prima ancora che dalle generazioni che l’hanno avuto il rendiconto, restando in fase di stallo) è uno spunto di conversazione noioso e lamentoso. Parlare dei soldi tirati fuori come fossero noccioline, senza aver chiaro esattamente a cosa e a chi servano, né quali spese concorsuali richiedano cento euro a testa, è una polemica stantia. Sì, senza dubbio avrei preferito pagare cento euro per essere eliminata dal concorso dopo aver sostenuto l’esame scritto, piuttosto che per una valutazione dei titoli che sarebbe potuta essere self-service. Mi avrebbe consentito di autodeselezionarmi in caso di non idoneità al concorso risparmiando un pagamento per niente esiguo, o di mettere a frutto uno studio portato avanti fino a due giorni prima dell’esame, prima di essere deselezionata: noi giovani ci accontentiamo di poco.

Per uno studente che ha conseguito con fatica e abnegazione il titolo di dottore e che nutre la vana speranza di continuare a studiare (per tutta la vita possibilmente) poteva essere formativo e altamente didattico confrontarsi davanti a quel foglio bianco dello “scritto”, a fianco dei colleghi molto più preparati e titolati, affrontare il tema piuttosto generico degli “studi sul patrimonio culturale”.

Non è forse questa la missione dell’istituzione universitaria? Formare e fare ricerca? Un esame di ammissione sarebbe stato comunque un momento di crescita e nulla avrebbe impedito a chi già possedeva abbastanza titoli di accedere senza problemi e preoccupazioni al fatidico e agognato dottorato di ricerca. Quasi 50 iscritti alla prova di ammissione testimoniano un’esigenza di misurarsi alla stregua dei colleghi europei. Esigenza che forse non è stata compresa, in questa occasione.

Tutto ormai finisce nel calderone dei “certo però” casalinghi, detti per sfogarci un po’ con i familiari, con gli amici, con i “commilitoni” universitari. Ritengo tuttavia che un’utile promemoria possa essere quello dell’importanza dello stupore: vale per il bello e per brutto della vita. Abituarsi troppo alle cose belle che abbiamo può renderci ingrati e annoiati; abituarsi troppo alle cose sbagliate è invece pericoloso e fuorviante e la mia generazione rischia di finirci soffocata.

Decido dunque di stupirmi per com’è andata questa vicenda del bando di dottorato del 39° ciclo di Catania. La mia Università può decisamente fare meglio di così. E dei miei cento euro spero faccia buon uso, come dei soldi dell’iscrizione ai test d’ammissione, e di quelli dell’acquisto di quei crediti aggiuntivi necessari a buona parte del mondo del lavoro, che avrebbe dovuto inserire gratuitamente nel piano di studi di ogni suo studente. Verso questi cento euro con un augurio per Lei. Tolte, certo, le spese concorsuali.


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