Mia figlia di sei anni | mi ha chiesto di Paolo - Live Sicilia

Mia figlia di sei anni | mi ha chiesto di Paolo

Mia figlia di sei anni mi chiede: papà, ma è morto prima Paolo Borsellino o Gesù Cristo?

Mia figlia di sei anni mi chiede: papà, ma è morto prima Paolo Borsellino o Gesù Cristo? Ecco chi è, oggi, Paolo Borsellino per una bambina palermitana. Priva, come tutti i bambini, della dimensione temporale. Ma chi è, oggi, Paolo Borsellino per chi di anni ne ha quaranta o più? Per chi nel ‘92 era già adolescente o adulto? Per chi ricorda?

Per alcuni è, come Gesù Cristo, un martire che ha portato la croce. Per altri (e sono tanti) il suo nome è un comodo ombrello sotto il quale ammantare di legalità una pioggia di sconcerie e vergogne. Un nome da vilipendere anche da morto, come già accadde da vivo.

Poi arriva Manfredi, che quel cognome negli ultimi ventitrè anni ha portato con silenzio e rara dignità, e ti spiega chi è suo padre e che senso ha, oggi, il nome che porta. Tace per ventitrè anni, Manfredi, e poi parla. Poi, agli amici che gli chiedono, risponde con semplicità e ironia: non ho avuto niente da dire per ventitrè anni; quest’anno avevo qualcosa da dire.

Parla non di sé, perché le persone educate di sé non parlano quasi mai, ma di sua sorella, che da persona educata e garbata di sé non parla quasi mai. Parla di Lucia. Che non è solo l’ex assessore alla sanità.

È la donna che ha ricomposto la salma di suo padre dopo l’esplosione. È la studentessa che qualche giorno dopo il 19 luglio compostamente sostenne un esame all’università. È l’adolescente che patì la reclusione forzata all’Asinara, lì dove Giovanni e Paolo furono sequestrati per ultimare l’ordinanza del maxiprocesso. Pagando poi le spese di vitto, richieste da una burocrazia che spesso è peggio della mafia.

Lucia voleva combattere quella burocrazia, ha spiegato Manfredi, e la voleva combattere lì dove fa più male alle persone che camminano per strada e affrontano ogni giorno le difficoltà della sopravvivenza quotidiana: nella sanità. Voleva una sanità siciliana, ha spiegato Manfredi, “libera e felice”.

“Felice”.

Felice non sta scritto neppure nella Costituzione. Non c’è scritto a parole, almeno.

Ma la felicità, a pensarci bene, è la conseguenza della legalità. Perché non si può essere felici se non lo sono pure gli altri, come cantava Gaber.

L’avrebbe potuto cantare Paolo e, a modo suo, l’ha cantato. Oggi lo cantano i suoi figli. Che portano la croce di un nome enorme, che fa chiedere a mia figlia chi fosse nato prima tra Paolo e Gesù Cristo.

 

 


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