Saremo, Falcone e Borsellino non sono figurine dello spettacolo

Sanremo, Falcone e Borsellino non sono figurine dello spettacolo

I due giudici e il monologo di Saviano.

Poco prima Amadeus aveva lanciato l’ennesima canzonetta che non passerà alla storia, sotto lo sguardo vigili degli sponsor, poco dopo Roberto Saviano ha declamato la sua orazione civile sui dottori Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che aveva sollevato polemiche preventive. I due giudici uccisi dalla mafia non più soltanto icone dell’indicibile, della speranza e del sentimento di riscatto degli onesti, ma figurine inserite in un meccanismo spettacolare e commerciale che ha afferrato gli eroi dal cielo in cui albergano e li ha abbassati al livello di una scintillante kermesse.

E questo non riguarda in sé il monologo dello scrittore che poteva piacere o non, che è magari piaciuto in alcuni passaggi, risultando scontato in altri, perché, piuttosto, chiama in causa un avvicinamento improprio di cui tutti sapevano tutto. Qui non si è trattato di prendere uomini giusti che hanno pagato un prezzo per esserlo – uomini, non statue – per incanalarli in una narrazione nazional-popolare. L’operazione è stata diversa – anche se Saviano non ha preso alcun compenso -: illuminare il volto sofferto del mito, con le sue implicazioni intime e laceranti, e poi passare la linea agli spot. Davvero non esistono altri modi per agganciare una tragedia talmente immane al senso comune?

Mentre l’autore di ‘Gomorra’ parlava, per contrasto, a tanti sono apparsi i volti dolenti di Capaci e di via D’Amelio. Il dottore Falcone e la dottoressa Morvillo, nel loro ultimo viaggio. I ragazzi delle scorte. Il dottore Paolo Borsellino che non sapeva che, quel giorno, avrebbe definitivamente smesso di fumare. E quell’agente che si avvicina alle lamiere contorte dell’autostrada, vede qualcosa e grida: “Giovanni!”, lui che l’aveva sempre chiamato con la deferenza del titolo e del cognome. Una sequenza infinita e inesprimibile. E adesso la pubblicità.


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