Le nuove strategie di Cosa nostra| Infiltrazioni nei centri del potere - Live Sicilia

Le nuove strategie di Cosa nostra| Infiltrazioni nei centri del potere

Affari, assetti e guerre di mafia: ecco cosa emerge dall'ultima relazione della Dia.

CATANIA – La mafia catanese si potrebbe paragonare a un camaleonte per la sua capacità di mimetizzarsi. Da alcuni anni cosa nostra catanese ha adottato il sistema dell’inabissamento. Nessuna azione che possa suscitare clamore, ma strategie che portano a controllare il potere da dentro i circuiti economici e a volte anche amministrativi. Le attività illecite tradizionali, estorsioni e principalmente droga, servono a rifondare le casse per investire e anche per mantenere il numero sempre crescente di detenuti e relative famiglie. Si adegua alle condizioni create dai colpi delle azioni giudiziarie.

L’ultima relazione della Direzione Investigativa Antimafia (relativa al secondo semestre 2015) consente di ben delineare il fenomeno mafioso nella provincia etnea. “Passando alla descrizione delle strategie affaristico-mafiose delle organizzazioni criminali etnee, si traduce in una “politica” di presenza sul territorio che privilegia innanzitutto il reinvestimento e il riciclaggio dei capitali illeciti, attraverso una “mimesi” imprenditoriale e la conseguente infiltrazione nell’economia legale. La propensione è quella di colonizzare qualsiasi aspetto della vita economica e sociale, per ricavarne profitti, prestigio e riconoscimento pubblico. In linea generale, nella provincia catanese Cosa nostra si sarebbe spogliata del monopolio delle attività criminali di basso profilo, limitandosi a gestire interessi di portata strategica, tendendo così ad assumere la connotazione di una impresa criminale elitaria”.

La Dia è precisa sul tipo di affari. In particolare la mafia catanese riserverebbe per sé la manipolazione degli appalti pubblici, la gestione delle sale scommesse e il controllo della  catena logistica nel settore dei trasporti (soprattutto su gomma), delle reti di vendita, delle energie alternative e dell’edilizia. Insomma in tutta l’economia legale.

Una cosa è sicura ai vertici della mafia catanese resta il clan Santapaola Ercolano, che insieme ai Mazzei sono “accreditati” da Cosa nostra palermitana. Ma nell’assetto criminale di Catania vi è una vera e propria frammentazione di “famiglie” mafiose. Clan che nonostante il mancato “riconoscimento” della Cupola sono altrettanto pericolosi e potenti. “Nella Sicilia orientale – scrive La Dia – i principali schieramenti criminali, sempre strutturati in consorterie mafiose, appaiono soggetti a continue riconfigurazioni interne, non di rado determinate dalla necessità di sopperire alla costante azione repressiva che ha caratterizzato anche il semestre in esame con l’esecuzione di numerosi arresti”. La Dia fa riferimento a due operazioni eseguite dalla Polizia di Catania, la retata Time Out che esattamente un anno fa ha decapitato il clan Scalisi di Adrano, storico alleato dei Laudani di Catania e l’operazione Dirty Money che ha portato in cella otto esponenti della cosca Santapaola Ercolano specializzati nel racket delle estorsioni. Queste continue riconfigurazioni – da quanto esposto dagli investigatori – riguardano una serie di migrazioni da un clan all’altro. In particolare dal clan Santapaola al clan Cappello. Ma questi “cambi di casacca” (a voler usare un termine calcistico) non hanno scalfito però la pax mafiosa siglata tra le famiglie per contrastare le azioni di forze dell’ordine e magistratura.

La voglia di prestigio. I mafiosi catanesi bramano il riconoscimento pubblico. Questo aspetto è ben evidenziato nella relazione della Dia. “Le consorterie dell’aria orientale mantengono alta la capacità di condizionare la dimensione economica e sociale del territorio, non solo per ricavarne profitti, ma anche per acquisire una sorta di “riconoscimento pubblico”. Su questo punto gli investigatori della Dia ci conducono a Paternò e alle celebrazioni di Santa Barbara. Quell’inchino di uno dei “cerei votivi” davanti la casa del boss Assinnata portò Catania alla ribalta nazionale. Era il 2 dicembre 2015.

La droga resta – come detto – uno dei modi più utilizzati per far cassa. E anche velocemente. Non ci sono grosse novità relative all’analisi dei canali di approvvigionamento e delle piazze di spaccio. Emerge però un nuovo fattore: tra la nuova manovalanza della mafia entrano gli stranieri. I clan reclutano gli immigrati che diventano anche intermediari con i trafficanti di droga, specialmente per hashish e marijuana. Gli albanesi sono gli specialisti. Restano invece le ‘ndrine i principali fornitori di cocaina.

A Catania non ci sono i mandamenti, ma le famiglie e i clan. La Dia divide il panorama criminale catanese su tre livelli. “Il primo più strutturato è contrassegnato dai Santapaola e Mazzei a Catania e nell’hinterland e della famiglia La Rocca a Caltagirone. Il secondo, meno evoluto ma non meno pericoloso, è costituito dai clan Cappello-Bonaccorsi e i Laudani. Il terzo è costituito da altri clan (alcuni disarticolati) come Pillera, Sciuto, Cursoti, Piacenti (Ceusi), e Nicotra. Alcuni di questi – secondo la Dia – sono stati assorbiti dal clan Cappello”.

La mafia cerca di non scoprirsi. Almeno a Catania. Siamo lontani dagli anni ’90. Così non può dirsi per il triangolo della morte di Paternò, dove si è ripiombati in quel periodo di sangue. Se a Catania la Dia parla di una generale situazione di “calma apparente”, nella zona tra Adrano, Biancavilla e Paternò si vive una certa “turbolenza” dovuta alle frizioni interne al clan Toscano Mazzaglia, alleato dei Santapaola.

 


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