Una circolare contro i raccomandati | La Palermo dei cugini immaginari - Live Sicilia

Una circolare contro i raccomandati | La Palermo dei cugini immaginari

Il polo tecnico del Comune di Palermo in via Ausonia

Il documento che ha fatto discutere a Palermo. Qui, dove anche per una fila alle Poste...

PALERMO – Comunque vada – quale che sia la storia, quali che fossero gli intendimenti, quale che sarà il rilievo da fornire agli eventi – l’architetto Nicola Di Bartolomeo, capo del polo tecnico del Comune, è l’autore di una affermazione coraggiosa, per forma e contenuto. Ci vuole, infatti, coraggio, al netto di circostanze e sviluppi che non conosciamo, per rendere visibile un cartello in cui c’è scritto che si vogliono “evitare disparità di trattamento e favoritismi”, nella città dei cugini immaginari. Una sorta di ostracismo preventivo verso i raccomandati, gli amici e i parenti, più o meno tali.

Palermo è la capitale dei cugini immaginari e dei santi in paradiso che ne governano le sorti. Sarà capitato a qualcuno, se non a troppi, di essere cugino di qualcun altro che ti presenta a chicchessia, appunto, con la fatidica frase: “è me cucino”.

Sarà accaduto a pochi, se non a molti, di avere presentato a chicchessia qualcuno nell’identica maniera. Con la sottolineatura che la presunta cuginanza non riveste il significato di consaguineità, ma di reciproco interesse: dunque è più importante. Essendo i cugini tanti quanti se ne possono nominare, oggi tu dai una mano al mio che domani io soccorrerò il tuo. Né si tratta, per forza, di corruzione, di illeciti, di milioni o di porcherie al massimo grado. Anche una fila alla posta può essere un lieto ritrovo di cugini reciproci e, fino a quel momento, ignoti.

La sempiterna fila alla posta compone pure il suggestivo paradigma di ogni discorso intorno alle raccomandazioni. Perché il palermitano, desideroso di saltarla, subito, chiederà al convenuto che lo accompagna. “A nuddu canuscemu?”, con piglio trafelato. Poi, assumerà una curiosa espressione di ricerca, con le pupille fuori dalle orbite che lo renderanno fisiognomicamente assimilabile a Willy il Coyote quando precipita dal dirupo, nell’atto di aprire l’ombrellino. Infine, una volta rintracciato l’ipotetico benefattore, il saltatore panormitano, borbottando, sgattaiolerà e, dissimulerà, infrattandosi dietro una caritatevole porticina. A Palermo mancano acqua, pulizia e decoro, tuttavia c’è un santo per ogni inferno e, per ogni problema che hai, uno ‘zio’ non manca mai.

Senza contare le legioni di accompagnamento di certi politici che hanno eletto il bar dietro l’angolo a ufficio disbrigo pratiche, dove ricevere questuanti, ognuno col suo guaio, con la sua camurria, col suo dispiacere: il folclore di chi, talvolta, non crede nei diritti di cittadinanza, ma nei rapporti familiari allargati, per sussistenza.

E, davvero, non c’entra sempre il codice penale, basterebbe un documentario su ‘Rieducational Channel’ o la lettura di un grande libro. Scrisse Leonardo Sciascia: “La famiglia è lo Stato del siciliano (…). Sarebbe troppo chiedergli di valicare il confine tra la famiglia e lo Stato. Magari si infiammerà dell’idea dello Stato o salirà a dirigerne il governo: ma la forma precisa e definitiva del suo diritto e del suo dovere sarà la famiglia, che consente più breve il passo verso la vittoriosa solitudine”.

La solitudine eroica del capitano Bellodi, ne ‘Il giorno della civetta’, catapultato sul balcone assolato di un paese a lui incomprensibile. La solitudine perversa di don Mariano Arena, nel terrazzo corrispondente, sopra una piazza che fantastichiamo desolata. La verosimile solitudine di coloro che lottano contro i mulini a vento, senza nemmeno il ronzino di Don Chisciotte. E quella circolare che è naturale sottolineare, perché ha instillato un pensiero clamoroso nella città dei cugini immaginari. Almeno fino alla prossima fila.

 

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