L'infermiera Rita, l'ictus, la paura | "Pochi giorni dopo ero in corsia" - Live Sicilia

L’infermiera Rita, l’ictus, la paura | “Pochi giorni dopo ero in corsia”

Rita Mangiapane

Un malore improvviso e una patologia a rischio. "Ma io volevo tornare subito".

Presi di mira, minacciati, strattonati. Si moltiplicano le aggressioni contro gli operatori della sanità. LiveSicilia.it continua il suo viaggio per conoscere e per sostenere chi lavora e si sacrifica nella trincea dei nostri ospedali.

“Mio figlio mi ha detto: ‘Mamma, ti senti male? sei strana…’. Avevo un forte mal di testa. I controlli di routine, niente… Il giorno dopo, di turno in ospedale. Non mi sentivo benissimo. Ma io per mancare al lavoro devo essere proprio a terra. I colleghi: ‘Rita, come va?’. Ecco che scappa fuori l’ictus. Mi sono presa un bello spavento. Quindici giorni dopo ero in corsia a fare il mio dovere”.

Rita Mangiapane, infermiera del pronto soccorso del Policlinico di Palermo, racconta la sua storia con semplicità, come se fosse normale ciò che tanto normale non è. Non è normale ricevere un colpo del genere e accelerare i tempi di rientro. Ma gli eroi invisibili degli ospedali normali non sono, né potrebbero esserlo. Pochi, male armati e circondati. Ogni giorno devono metaforicamente divorare bistecche di leone e avere una prontezza diversa per tutto.

Man mano che andiamo avanti nel ritratto degli anonimi protagonisti della sanità siciliana, scopriamo atti di valore compiuti nel silenzio e salutati con un’alzata di spalle. Rita, come l’infermiera Serena di Villa Sofia, come la dottoressa Tanina che vive su un’ambulanza, come altri, ha un’unità di misura di abnegazione che mette da parte il resto.

Siamo nell’area d’emergenza del Policlinico in una stanzetta. C’è Vittorio Giluiano, il ‘grande capo’, uomo caparbio e tenace: anche lui pochi giorni dopo il suo infarto era già in trincea. C’è Carlo Picco, il manager: parlata che rivela la sua origine ‘lumbard’ e idee chiare su come mandare avanti la baracca. C’è Gianni Di Blasi, il caposala, che sfoggia i suoi proverbiali baffoni.

Rita è una persona generosa. Le ferie estive le utilizza per il volontariato. Non riposa quasi mai. Ora racconta: “Sono tornata subito per rimettermi in gioco e per non cedere a una comprensibile paura. Come i piloti di Formula Uno che escono illesi da un incidente e cercano immediatamente un’altra macchina. E poi c’erano i colleghi da mandare in riposo e in ferie. Ho cominciato da infermiera nell’Ottantasette a Varese, ma desideravo vivere nella mia terra. Sono qui da tanto e, certo, ne ho viste tante…”.

Chi passa le sue giornate accanto ai monitor dai battiti incerti e ai respiri pesanti ha un catalogo di storie da svelare. “Ho scelto questa professione – racconta Rita – perché, più che la voglia, avverto la necessità di aiutare il prossimo, accettando i sacrifici. Sa, io abito a Cammarata, non è proprio dietro l’angolo. Abbiamo tanti accessi ed è importante restare lucidi. Nella mia attività l’ascolto è importantissimo: sapere accogliere le persone e trattarle con gentilezza. Chi arriva qui ha paura e ha bisogno di cure e di parole di conforto. Ho vissuto ovviamente esperienze di dolore: quando qualcuno non ce la fa, soffri terribilmente”.

Sono frasi pronunciate anche altrove e non per posa. Corrispondono a una terribile verità. Il camice bianco non ti ripara, non ti protegge dall’impatto con la sofferenze.

Foto di Rita che mostra un bel sorriso. Foto di prammatica tutti insieme. L’infermiera coraggiosa conclude: “Qualcuno mi ha detto al mio rientro: ‘Sei già qui? Sei pazza! Sei stata malissimo’. Altri invece: ‘Sei forte, ma è un miracolo…’. Io non potevo lasciare soli i malati, i colleghi, chi aveva bisogno di me”. Gianni, il caposala, chiosa: “Siamo una squadra, ognuno pensa all’altro. Questo è il nostro segreto”.

E questo è il segreto dei dottori, degli infermieri, dei soccorritori, dell’impresa della pulizie… del personale che manda avanti i nostri ospedali come se fosse tutto normale, nella moltiplicazione quotidiana dei pani e dei pesci dell’assistenza. Ma è un miracolo.

 


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