"Il secco non lo voglio disturbare"| L'ultimo pizzino del latitante - Live Sicilia

“Il secco non lo voglio disturbare”| L’ultimo pizzino del latitante

Raffaele Urso

Le intercettazioni ricostruiscono una vicenda del 2017 che coinvolge Matteo Messina Denaro

PALERMO – Il blitz “Anno zero”, sfociato oggi in una serie di pesanti condanne, fornì i dati più aggiornati della presenza di Matteo Messina Denaro.

Nel 2016 su Filippo Sammartano, già condannato per mafia e deceduto nel 2016 per cause naturali, uomo d’onore della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, si addensò il sospetto che si fosse appropriato di una parte del denaro destinato agli affiliati. Della faccenda si sarebbe occupato Raffaele Urso, meglio conosciuto come Cinuzzu, su incarico di Rosario Allegra, uno dei cognati del latitante.

Urso e Allegra furono filmati nell’estate del 2014 mentre si incontravano in una casa di campagna in contrada Ingegna a Campobello di Mazara. Arrivarono il primo in sella a uno scooter e il secondo in macchina. I carabinieri del Ros intercettarono solo l’ultima parte della conversazione grazie a una microspia piazzata fra mille difficoltà.

Allegra chiedeva l’intervento di Urso: “… aspettiamo un po’… che dobbiamo fare?… mi segui o no? io che posso fare?… Io più di venire a parlare con te… non ho niente di parlare con quello…”. Un modo per evitare di disturbare una persona che conta: “… io a lu siccu…non lo voglio disturbare… che ha un coglione di… mio cognato… che è un coglione preciso… e ora mi devo andare a litigare con quest’altro cretino?”.

Al di là delle parole dure che Allegra rivolgeva al cognato Gaspare Como, sposato con un’altra sorella di Messina Denaro, secondo gli investigatori, “u siccu” (il secco, ndr) sarebbe Matteo Messina Denaro. I cognati dunque avevano un canale diretto per le comunicazioni con il latitante.

Nell’estate del 2016 è stato ascoltato il dialogo fra i partannesi Nicola Accardo e Antonino Triolo: “… hai scritto tu?”; “… glielo ho fatto sapere… il fatto… Matteo”; “… ed hai chiuso il conto?”; “Tu domani ci vai…”; “… no … io domani…”; “.. lascia perdere… ascolta lui… qua non gli ha detto che sta qua… dice che era in Calabria ed è tornato…”.

Mentre parlavano si sentiva in sottofondo il rumore dello sfregamento della carta. Gli investigatori sono certi che i due avessero in mano un pizzino scritto dal latitante che al rientro dalla Calabria avrebbe pianificato degli incontri: “… passa qua… ed i cristiani ci vanno… e allora gli ho detto questo coso di qua…”; … interesso della discussione… il cognato?”; “Sua sorella, sua sorella”; “… qua … nel bigliettino è scritto… lo vedi? Questo scrive cosa ha deciso…”.

Quindi Triolo entrava nei particolari: “… la madre di Matteo… che lui non scrive si lamenta, lui deve scrivere… vorrei vedere a te… non gli interessa niente di nessuno…”. Quindi, poco prima di strappare il biglietto, spiegavano che il pizzino era arrivato tramite tale Nicola e c’erano riferimenti alla “famiglia” e alla “gerarchia”.

Nell’estate successiva, agosto 2017, era stata registrata una nuova conversazione all’interno della macchina di Dario Messina, considerato il reggente del mandamento mafioso di Mazara del Vallo. Messina chiedeva informazioni su un biglietto a lui destinato. Lo aveva ricevuto Marco Buffa : “… mi è arrivato questo coso a me… già appena mi è arrivato questo coso mi sono venuti i tic, ho detto: a posto… c’era quello e gli ho detto: aspetta un minuto, prendi qua … gli ho detto … che devo portare la risposta subito. Minchia appena ho visto Dario Me…”.

Da allora silenzio assoluto. Messina Denaro è tornato ad essere il fantasma di sempre. Nella richiesta di rinvio a giudizio che ha portato al processo chiuso oggi con le condanne i pubblici ministeri della Dda indicavano Matteo Messina Denaro come il capomafia “dell’intera provincia di Trapani e in tutta la Sicilia occidentale”. È lui che “ha impartito direttive anche attraverso rapporti epistolari e costituito il punto di riferimento mafioso decisionale in relazione alle attività e agli affari illeciti più importanti gestiti da Cosa nostra nella provincia di Trapani ed in altri luoghi della Sicilia”.


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