Quei mitra pronti a sparare| Il figlio del boss doveva morire - Live Sicilia

Quei mitra pronti a sparare| Il figlio del boss doveva morire

Parla il pentito Sergio Macaluso e racconta il retroscena del piano di morte

PALERMO – “Sono le 10:00 del 20 marzo del 2018, ci troviamo in una località che si omette di indicare per ragioni di sicurezza del dichiarante, innanzi ai pubblici ministeri Maurizio Agnello e Amelia Luise…”.

È l’incipit di uno dei tanti interrogatori del pentito Sergio Macaluso, un tempo reggente del mandamento mafioso di Resuttana. Ci sono storie inedite nei verbali del collaboratore di giustizia. Il mensile S in edicola pubblica in esclusiva alcuni verbali inediti. 

 

La copertina dell'ultimo numero di S

Macaluso racconta un episodio inquietante che descrive una fase di profonda fibrillazione. Qualcuno a Palermo ha rischiato di essere ammazzato. Se il piano di morte fosse stato portato a termine – fu bloccato dagli arresti – si sarebbe trattato di un delitto eccellente che avrebbe scosso l’intera organizzazione criminale. 

La vittima predestinata era un uomo dal cognome pesante, qualcuno che in virtù dello spessore mafioso del padre pretendeva non solo rispetto, ma anche soldi e potere. Il suo atteggiamento, però, aveva mandato su tutte le furie due pezzi da novanta della mafia, il boss dell’Acquasanta Vincenzo Graziano e l’anziano Vincenzo Di Maio.

È all’Acquasanta che fu organizzata la riunione in cui si cercò di mediare con il rampollo della dinastia mafiosa. Ed ecco il passaggio del verbale che apre uno squarcio sulla vicenda finora inedita dell’agguato programmato: “Calcagno fece l’appuntamento con Enzo Di Maio per cercare di sedare omisiss che avevano deciso di uccidere per le sue intemperie caratteriali che erano quelle di discutere poco, ma Paolo lo conosceva e voleva mettere la buona… e combina questo appuntamento con Enzo Di Maio”. Si era deciso di coinvolgere Di Maio, settantenne e influente mafioso dell’Acquasanta.

Al personaggio misterioso sarebbe stata affidata la gestione della famiglia mafiosa. Ad una condizione, però: mantenere fede alla tradizione mafiosa che obbliga chi è libero a prendersi cura di chi è finito in carcere. 

La risposta dell’uomo considerato una testa calda sarebbe stata tranciante: “… lui rispose, dice: queste sono cose che mi lasciò mio padre Stefano, lo non ho intenzione di prendermi impegni con nessuno, sono venuto qua perché i miei fratelli lo sanno, è bene che lo sapete… se mi succede qualcosa.

L’identità è coperta da omissis. Chi è l’uomo che avrebbe sbattuto la porta in faccia a mafiosi di rango? Ci sono gli omissis, ma c’è pure un riferimento – “mio padre Stefano” – che rende plausibile una identificazione: si tratterebbe di Giovanni Fontana.

Era tutto pronto: “… comunque disse Vincenzo Graziano di recuperare tutto quello che avevamo pronto per l’ omicidio da Giuseppe Corona”… Ne parlai con Giuseppe – prosegue Macaluso davanti ai pm nel corso dell’interrogatorio del marzo 2018 – mi diede un appuntamento l’indomani al bar che c’è alla Cala che vende le sigarette dice: ti fai trovare lì alle 11, troverai il Beverly fuori con le chiavi appese e il mitra dentro la sella. Tu entri, compri le sigarette, ti prendi un caffè, non mi salutare, io ti faccio cenno se è tutto a posto…”.  Un ampio articolo con tutti i particolari è pubblicato sul nuovo numero del mensile S in edicola. 

 


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