Nel regno del padrino latitante| Quel saluto ultima sfida dei boss - Live Sicilia

Nel regno del padrino latitante| Quel saluto ultima sfida dei boss

Giuseppe Perrone e Vincenzo Giudice

La condanna definitiva dei triumviri di Pagliarelli e i segreti di uno degli ultimi latitanti

PALERMO – Resterà uno degli scatti simbolo delle recente Cosa Nostra. Quando i giovani triumviri del mandamento mafioso di Pagliarelli – Alessandro Alessi, Giuseppe Perrone e Vincenzo Giudice – capirono di essere braccati dai carabinieri reagirono con arroganza.

L’ultima sfida dei tre mafiosi palermitani fu una mano che saluta in favore di telecamera. Alessi, Perrone e Giudice sapevano di essere pedinati dagli investigatori. Eppure decisero di ostentare sicurezza, per dimostrare di non avere paura. Adesso per tutti e tre la condanna è diventata definitiva. Dovranno trascorrere una buona fetta della loro vita in carcere.

Il bar all’interno dell’ospedale Civico gestito da Giudice, la stradina di periferia dove viveva Perrone, la sala biliardi dove Alessi fissava gli appuntamenti: non c’erano luoghi sicuri e al riparo dall’azione degli investigatori

Davanti al bar la telecamera riprese Perrone che indicava a Giudice l’esatto punto dov’era piazzato l’occhio elettronico. Poi Perrone, prima di salire sulla Smart di Alessandro Alessi, alzava la mano e salutava.

La storia del mandamento di Pagliarelli è indicativa. Nel 2006 fu arrestato Nino Rotolo, nel 2009 Gianni Nicchi, nel 2011 Michele Armanno, nel 2015 il triumvirato Alessi-Giudice-Perrone, nel 2018 Settimo Mineo. Tutti i capi, uno dopo l’altro, sono finiti in carcere grazie all’incessante azione della Procura di Palermo e delle forze dell’ordine. La mafia arranca, ma resiste. Questo dicono gli investigatori.

Resiste, arranca e custodisce pure dei segreti. Come quello sulla latitanza di Giovanni Motisi, in fuga dal 1998. La caccia al boss, soprannominato ‘u pacchiuni (il pacchione, ndr), non è stata dichiarata definitivamente chiusa, ma non ci sono segnali di una sua presenza. L’ultimo risale al 2007. Gianni Nicchi, ‘u picciutteddu, il ragazzino diventato capomafia, prima di finire in carcere, aveva dato mandato a qualcuno di trovargli un collegamento con il latitante. Lo voleva al suo fianco per frenare l’avanzata di Salvatore e Sandro Lo Piccolo, signori di San Lorenzo.

Non sappiamo se la strada battuta da Nicchi sia stata fruttuosa. Resta il fatto che ‘u picciutteddu aveva cercato ‘u pacchiuni. E non si cerca qualcuno che è morto.

 

 


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